venerdì 28 novembre 2008

Un interrogativo sulle ‘Linee guida’ del Ministro Gelmini

di Walter Nocito e Silvio Gambino (UniCal) - Calabria Ora (27/XI/2008)

Da un paio di settimane il Ministro Gelmini ha reso pubbliche le Linee guida per la riforma dell'Università facendone una piattaforma di confronto e anche di sfida all’Onda e all’intero sistema delle autonomie universitarie. Nell’ottica del Ministro, le Linee costituiscono la “proposta aperta” per realizzare la strategia del Governo Berlusconi per la Legislatura in corso, presentandosi come strumento funzionale a realizzare gli obiettivi strategici per l’intero Paese, identificati nell’equilibrio di bilancio, nella implementazione dell’Agenda di Lisbona e nel recupero del gap di competitività del sistema Paese (pag. 1, Linee guida).
Rispetto a tale impostazione del Governo, la domanda che pare lecito porsi è: può un sistema universitario essere conformato alle esigenze di equilibrio di bilancio e alla pura competitività del Paese-Azienda. L’interrogativo non è peregrino. La difficoltà di convenire sulla risposta spiega tutti i ‘problemi di comunicazione’ fra Paese reale e Paese legale, fra l’Onda, la Comunità scientifica e i governanti.
La risposta da parte di chi scrive è decisamente nel senso negativo e ciò per più ragioni, la principale delle quali risiede nella considerazione secondo cui la spesa pubblica, per la scuola, per la ricerca e per l’università, costituisce un ‘investimento di lungo termine’, destinato a produrre effetti positivi non necessariamente nell’immediato bensì nel periodo medio-lungo; per tale ragione non può essere valutata con parametri meramente aziendalistici o economicistici. Farlo significherebbe, inevitabilmente, lanciare alle ortiche secoli di quella cultura umanistica, europea e universalistica, che costituisce a tuttora la base di una umanizzazione per lo sviluppo sostenibile delle tecnologie contemporanee e che fa dell’Italia un vero e proprio ‘giacimento culturale’ che il mondo interno ci invidia.
Nella missione storica perseguita dalle autonomie universitarie, a partire dalla universitas medievale fino al modello franco-tedesco (humboldtiano), trova posto tanto la ricerca di base, intesa come ricerca pura, quanto la ricerca applicata, intesa come trasferimento tecnico e tecnologico dei risultati della ricerca scientifica negli ambiti necessari allo sviluppo della competitività socialmente sostenibile dei sistemi economici (creazione di reddito, equa redistribuzione dello stesso, mobilità sociale).
Esattamente a questo livello si colloca la valutazione negativa sulla cultura delle riforme universitarie praticate attraverso le leve del bilancio, le quali (tagli al FFO, blocco del turn over), produrranno inevitabilmente (almeno a partire dal 2010) l’abbandono degli ambiti della ricerca pura a solo ed esclusivo vantaggio di quella applicata, inevitabilmente asfittica e alla lunga improduttiva e insostenibile. Un esempio fra i tanti possibili. Potranno il MIUR e le singole università del Paese finanziare in futuro ricerche proposte dalla comunità scientifica sul diritto attico, sul sanscrito, sulla fisica teorica? Ma, se non potranno più finanziare tali filoni di base, continua ad avere senso citare le statistiche internazionali sul posizionamento comparativo degli atenei del Paese, rispetto ad università americane e tedesche dove tali ‘ricerche pure’ sono doviziosamente sostenute e finanziate alla pari di quelle ‘applicate’? Come si vede, ci si deve sempre interrogare sulla ratio e la strategia di ogni politica di riforma. Le risposte non sono mai scontate!

Lettera ai docenti di Ingegneria

Questa lettera ai docenti di Ingegneria è stata scritta a seguito del Consiglio di Facoltà del 25 Novembre 2008 dai precari invisibili della ricerca e dagli studenti che hanno assistito al consiglio.


Al Consiglio di Facoltà di Ingegneria
UNICAL


Rinfrancante, appassionata, esaltante questi sono stati alcuni degli aggettivi da voi utilizzati per commentare la performance televisiva di studenti e precari della ricerca dell’UniCal ad Annozero, ma più specificatamente di studenti e precari della ricerca della Facoltà di Ingegneria dell’UniCal. Vi siamo piaciuti. Alcuni di voi si sono detti orgogliosi di noi.
E poi siamo venuti in Consiglio di Facoltà a portare le stesse facce, gli stessi toni, indignati ma moderati, gli stessi concetti che tanto avete apprezzato seduti al divano di casa.
Se il nostro show è stato per voi entusiasmante, il vostro è stato ai nostri occhi deprimente.
Opportunisti, egoisti, ciechi, incapaci di pensare ad un obiettivo comune e lottare per esso, che nessuno si abbia ad offendere, così vi abbiamo visto noi.
Dopo gli applausi e i complimenti, si è tornati immediatamente alla dura realtà, quella fatta dai granitici blocchi di potere che dominano la nostra Facoltà, ai muro contro muro, alle logiche gerarchiche e baronali, alla bieca ostinazione di chi non vuole recedere di un passo di fronte a nulla.
L’esaltante esperienza di pensarvi diversi la delegate a noi, niente vi ha smosso di un millimetro.
E allora ci tocca continuare solo ad immaginare che in Consiglio di Facoltà, anziché consumare tempo ed energia in discussioni infinite, si discuta di come permettere agli studenti di diventare attori protagonisti nel loro processo di crescita e maturazione, anziché difendere a spada tratta i propri valvassori e valvassini, si trovi il modo di liberare idee e pensieri dal giogo dei maestri, senza l’avallo dei quali, adesso non si vive e non si muore, anziché asservire merito e prestigio accademico ai meccanismi spartitori, si pensi a come permettere a tutti di lavorare con dignità e orgoglio per generare nuovo merito e nuovo prestigio. E’ incredibile come anziché studiare e scegliere le strade più giuste per trattenere all’interno della facoltà le risorse umane giovani e meritevoli ci si scanni per ore su un avanzamento di carriera.
Ci spiace vedere un nuovo Preside già in balia di questi meccanismi spartitori. Ci saremmo aspettati che superasse l’empasse creatasi con l’audacia di chi riesce a guardare lontano, di chi riesce a riportare i colleghi sulla logica di cosa sarebbe giusto per la Facoltà, e invece abbiamo assistito ad un infelice “non me la sento”…
Preside, se lei non se la sente, noi, al contrario, ce la sentiamo. Se lei si lascia impaurire da cosa i Ministeri proclamano, noi, al contrario ci siamo stancati di avere paura. E la esortiamo ad assumere decisioni coraggiose e di rottura col passato.
A distanza di un mese dalla conversione in legge di un decreto ingiusto, offensivo, mortificante per chi produce cultura, voi, docenti di Ingegneria non avete ancora trovato un momento per produrre un documento che esprima indignazione per le politiche del Governo sull’Università. Da che parte state? Non l’abbiamo davvero ancora capito. Noi siamo al centro della lotta che mira a ridare una dignità al nostro futuro e al vostro presente, stiamo facendo rete e ci stiamo facendo valere, e voi? Decidetelo per favore, e fatecelo sapere con fatti, azioni, ordini del giorno dei Consigli di Facoltà, commissioni apposite, cambiamenti ai regolamenti e agli statuti, proposte negli organi di governo dell’ateneo. Le paternalistiche pacche sulle spalle o i complimenti non servono più. Vi esortiamo ad uscire dalla vostra ignavia, se decideste di non farlo o decideste di farlo per stare con chi minaccia la democrazia di questo paese, noi continueremo nella nostra lotta non violenta per cambiare una nazione che non premia i giovani, che non premia il merito, che non premia l’impegno. Semplicemente, se deciderete di essere un ostacolo, sarete anche voi travolti dall’onda della creatività, dell’entusiasmo, della partecipazione e avrete perso un’altra, l’ennesima occasione per provare ad essere quelli che avreste voluto essere agli inizi delle vostre carriere.

Gli studenti e i precari “invisibili” della ricerca
dell’Università della Calabria

martedì 25 novembre 2008

Contro la violenza sulle donne



Martedì 25 Novembre ... oggi!
giornata nazionale contro la violenza sulle donne


seminario - film - cena sociale - festa


dalle 18:00 in poi alla Zenith 2 Cubo 13C


a cura del comitatoeconomiaunical


Pensieri femministi sull’autoriforma dell’università

di Figliefemmine (Bologna), da Carta, www.carta.org

Come femministe che lottano, si muovono e creano saperi all’interno dell’università crediamo sia fondamentale un’analisi dal punto di vista di genere degli ultimi decreti legge in materia di istruzione e welfare.

Prendiamo parola come componenti del movimento sulla reale condizione delle donne nel sistema universitario attuale, con la volontà di portare un contributo alla critica dell’esistente e alla volontà di autoriforma espressa dalle studentesse e dagli studenti.

Partiamo dalla pesante ricaduta che ha lo smantellamento del welfare, di cui i decreti Tremonti-Gelmini sono espressione, sulle donne e sulla nostra libertà di autodeterminazione. Oltre a delegare la nostra salute ad enti privati, tagliando fondi ai Consultori e persino ai Centri Antiviolenza, promuove una retorica familista neo-fascista, in cui il lavoro di cura si riversa completamente sulle spalle delle donne, ancora una volta ricacciate in casa a occuparsi di bambini e anziani.

La famiglia è il luogo primario delle violenze contro le donne e del controllo sui nostri corpi e sulle nostre vite. Un’altra conseguenza è la gerarchizzazione femminile su linee razziali e di classe del lavoro di cura che si traduce in una regolazione dei flussi migratori sulla base dei servizi che il pubblico non vuole più garantire.

Il DL 137 riduce il tempo scolastico a 24 ore settimanali, decretando la scomparsa del tempo pieno. Questo pone fine ad un progetto pedagogico avanzato e decreta una divisione di classe tra madri che possono pagare per lasciare i bambini a scuola e madri che saranno costrette a pagare col proprio tempo e progetto di vita, tenendoli a casa, visto e considerato che ancora oggi gli uomini-padri non sembrano condividere quanto dovrebbero il lavoro di cura.

Meno tempo a scuola e classi differenziali per migranti significano precisa volontà di discriminazione e pongono le basi per un’educazione razzista, xenofoba, sulla scorta di un “pensiero unico” catto-fascista.

L’insegnamento nelle scuole primarie è tuttora demandato alle donne. Questa femminilizzazione dell’educazione comporta il perpetuarsi dello stereotipo che ci vuole inserite all’interno del mondo dell’istruzione solo nei gradi più vicini alle funzioni materne. L’enorme presenza di donne nelle scuole elementari e la decisione della Gelmini di imporre alle classi una maestra unica comporta il futuro licenziamento di massa delle donne.

La “razionalizzazione” del personale ATA sancita nel DL 133 significa anch’essa licenziamenti per le donne, che rappresentano due terzi dei lavoratori, e incide ulteriormente sull’occupazione femminile che nel nostro paese non può vantare dati dignitosi. Le modifiche all’iter di richiesta del part-time, che diventa una “concessione dell’amministrazione” penalizzano ancora una volta le donne che in un numero maggiore usufruiscono di questa modalità lavorativa.

La critica al DL 133, nella parte riservata alla “riforma” dell’Università, che in realtà sancisce tagli economici, di personale e la trasformazione dell’Università pubblica in fondazioni private, non può esimersi da un’analisi delle nefaste condizioni del sistema universitario precedente. In particolare è un sistema che per le donne rappresenta ancora un “tetto di cristallo”.

Le donne laureate superano di gran lunga il numero di uomini laureati ogni anno, il numero di ricercatrici di III Livello (precarie e sottopagate) è in aumento, ma risulta in decremento il dato sulle ricercatrici di I livello, il numero di docenti ordinarie è inferiore alla media europea, e nel CRUI (Conferenza Rettori Università Italiana) ci sono solo 2 donne su 67 membri, che rappresentano il 2, 6% contro il 25% francese. Il sapere è di fatto in mano maschile come in tutti gli ambiti economico-politici italiani, e si traduce nelle tante forme di potere patriarcale.

Riteniamo che il blocco del turn-over al 20% penalizzerà ulteriormente le donne, e le possibilità di ricerca sui saperi “non convenzionali” per il sistema italiano e in particolare sui “grandi assenti” Gender Studies. Con i tagli e senza una precisa volontà politica, la sperimentazione nella ricerca non è ammessa, la razionalizzazione finisce per limitare anche la ricerca tradizionale e a mercificare il sapere.

Da una parte in Italia, a differenza da tanti paesi europei e extraeuropei non esistono Lauree triennali in Studi di Genere. D’altra parte quando si traducono in insegnamenti all’interno di triennali o specialistiche vengono trasmessi dal punto di vista metodologico come specificità, senza metterne in pratica gli aspetti di messa in discussione della didattica ufficiale e delle asimmetrie di potere (si ripropone la lezione frontale, nozionistica…). I temi degli studi di genere si ritrovano a dover stare all’interno di compartimenti stagni limitanti, e, dove esistono, vengono relegati a nicchie di saperi che non prevedono la contaminazione con gli altri, neutralizzandone la natura trasversale a tutti gli altri insegnamenti. Non è prevista inoltre l’integrazione della didattica ufficiale con saperi che provengano dal basso, da soggettività altre, come le espressioni di movimento della società civile, in questo caso di donne femministe e lesbiche. Questo provoca l’esclusione di temi che noi consideriamo fondamentali per la formazione ma che il “sistema” non considera neutri, perciò sufficientemente scientifici o razionali. Ad esempio sembra impensabile proporre tesi di ricerca o addirittura corsi sull’autodeterminazione delle donne, sulla sessualità, sul sex work, sulle esperienze e la storia dei movimenti lgbtqi o sul transessualismo. Sono temi che, se portati dal basso all’interno dell’università possono aprire delle brecce, mettere in discussione l’intera impalcatura patriarcale sulla quale si regge il sistema di sapere-potere interno ed esterno all’università stessa.

Crediamo che la volontà di autoriforma non possa prescindere da un’analisi di genere sul sistema universitario italiano. Se l’onda decidesse di omettere questa critica, finirebbe per riproporre quel concetto di “neutralità” che finisce per escludere le esistenze, resistenze e desideri di tutte e tutti.

Per adesioni: figliefemmine@inventati.org

lunedì 24 novembre 2008

Articolo su Annozero

Riporto l'articolo di Angelo d'Orsi, professore di Storia del Pensiero Politico all'Università di Torino, pubblicato su "Micromega" del 22.11.


22.11.08 - Ad Annozero l’università modello Barbareschi
L’altra sera ho guardato la tv. Non lo faccio mai. Mai più di cinque minuti. Non per snobismo, ma per istinto di sopravvivenza. Non insisto. Sono certo che il lettore condivide i miei sentimenti, le mie sensazioni, la vera e propria angoscia che mi coglie davanti a un televisore acceso. Quale che sia il programma o la rete. Ma l’altra sera mi sono fermato, sia pure a tratti (come quando sei sott’acqua, senza respiratore né bombole d’ossigeno, e hai bisogno di riemergere per prendere fiato, così mi dovevo allontanare, ogni tot minuti, dallo schermo malefico): l’ho fatto per dovere professionale, diciamo così. Si parlava di università, ad Annozero, il programma di Santoro, su Raidue. Mi ha colpito l’arroganza sorridente di un ospite, tale Barbareschi, un attore che in anni non lontani, appena giunto al potere il Cav, aveva cominciato a denunciare “l’egemonia della sinistra” che l’aveva emarginato. Deve aver tanto rotto le scatole – a chi di dovere – che non solo è stato ricuperato in qualche programma televisivo, o forse pure in qualche spettacolino teatrale o in film di adeguato livello, ma addirittura gli è stata offerta una candidatura dal Capo. E, grazie alla legge elettorale dal Capo imposta all’Italia (una legge che il Centrosinistra al potere non ha saputo cancellare in 48 ore come avrebbe potuto e dovuto fare), è inopinatamente divenuto “rappresentante del popolo”. E in quel ruolo sembrava trovarsi perfettamente a suo agio, a giudicare dalla sua performance televisiva, nella quale ostentava un bell’abito nuovo di trinca, una barba perfettamente curata, e soprattutto la sicurezza di chi si sente dentro a “’na botte de fero”, come si dice a Roma…

Sulla base di tale tronfia sicumera, quella del vincitore, e di una pari incompetenza, su praticamente tutti i temi affrontati, il bel tomo interrompeva, ingiuriava, o, peggio, faceva le mostre di un sarcasmo patetico, ma anche inquietante. Parlava di università, il signor Barbareschi, pavoneggiandosi come se recitasse al Piccolo Teatro nei panni di un personaggio cechoviano, tipo ricco possidente che riceve i mugiki che portano le loro rimostranze, e ne ottengono in prima istanza una ramanzina, e, se insistono, una “salutare” bastonatura, inflitta tramite servi. Si era addirittura, il bellimbusto, portato dei “documenti”, che ha citato male, prendendo fischi per fiaschi, confondendo sedi universitarie, corsi di laurea, progetti di ricerca. Tutto a dimostrare che l’università e la scuola italiana vanno malissimo e che è necessario qualificare, rinnovare, “spendere meglio” (ora si dice così, quando si devono giustificare tagli alle spese essenziali, sociali, e culturali: spendere meglio) e che questo è l’intento della signora Gelmini, e del Capo. (Salvo, poi, aggredire il conduttore o chiunque altri esprimesse critiche alla situazione attuale, accusandoli di “spargere pessimismo”: come è noto la parola d’ordine del padrone è, ora: ottimismo, buonumore, e tanti sorrisi). Appollaiato in alto, goffo e stridulo, uno studente “dell’altra parte” (“perché non si fanno parlare anche gli studenti dell’altra parte?”, reclamava il cicisbeo: “ce ne sono tanti!”), gli dava man forte, in un duetto finale con uno studente piddì, che lo chiamava per nome, insistendo sull’amicizia con il fascistello. Penoso.
Per fortuna c’era anche un ragazzo esperto di leggi, di dati, e capace di ragionare criticamente: ma sembrava terribilmente fuori posto, anche perché, là, la parola te la devi guadagnare e la devi difendere mitra alla mano. Del resto anche il grande Fuksas, anneddotico (intanto insultato dall’impunito Barbareschi, dall’alto non si sa di quale scienza ed etica), non ha dato alcun contributo degno di questo nome al dibattito. E il buon Perotti non faceva che ripetere le tesi assolutamente “bocconiane” che tripudiano nel suo libro sull’università (che ha avuto la fortuna di uscire al momento giusto, altrimenti nessuno se lo sarebbe filato, come è capitato a molti altri libri prima di questo, rimasti cibo per palati raffinati e solinghi). Dalla Cattolica, Pietro Schlesinger, su uno schermo gigante, come un predicatore medievale, scagliava anatemi. Uno scenario surreale.

Se non sapessi qualcosa del mondo accademico, da quelle due ore, o forse più, di talk show, non avrei imparato un fico secco. Mi ha confortato però vedere e sentire i giovani dell’Università della Calabria: seri, ma vivaci, preparati, ma portatori di autentico sapere critico, combattivi, senza estremismi. Se la lotta proseguirà, se non si arenerà, lo si dovrà a giovani come quelli. Studenti di un ateneo periferico, in una delle zone disastrate del Paese, un ateneo di quelli, probabilmente, “a rischio Tremonti”. Dove, guarda caso, ci sono – accanto ai casi di corruzione denunciati, che umiliano intelligenza e volontà di studiare – giovani dai quali tutti abbiamo da apprendere qualcosa, specie considerando la loro prevalente estrazione sociale, perlopiù assai modesta. E allora, pensando a quell’assemblea serale all’Unical, mi sono detto: caro mio, hai sofferto come a un’assemblea di condominio, ma ne è valsa la pena.

Angelo d’Orsi

domenica 23 novembre 2008

Lettera del Rettore

Ciao a tutt*

a questo link è possibile scaricare e leggere la lettera
che il Rettore ha scritto in seguito alla trasmissione Anno Zero.

http://www.unical.it/portale/portaltemplates/view/view.cfm?10814


Ire

venerdì 21 novembre 2008

La variable indipendente del sapere

Ciao a tutt*

ho postato due articoli che mi hanno fatto riflettere...
grazie a Laura che me li ha inviati.


Dal Manifesto:



La variabile indipendente del sapere
Benedetto Vecchi

L'università funziona oramai come un'impresa, anche se trasforma materie prime alquanto particolari, come particolare è la merce che produce.
Ma ciò che la rende il suo operato paragonabile a un'impresa è il modello organizzativo che si è data nel corso degli ultimi trent'anni.
In primo luogo, tanto a New York come a Sidney, la produzione del numero dei laureati e la formazione di ricercatori risponde a criteri di allocazione ottimale di risorse economiche, di «capitale umano», di accesso alla finanza e di produttività.

Inoltre, l'università deve fare profitti, al punto che in molti paesi è diventata norma la possibilità di poter brevettare i risultati delle ricerche scientifiche conseguiti nelle università, facendo venire meno quella consuetudine, diffusa prevalentemente, nel mondo anglosassone, di considerare di «pubblico dominio» le scoperte e le invenzioni avvenute nei laboratori universitari.

Le trasformazioni delle formazione universitaria in attività produttiva ha ovviamente incontrato e incontrano resistenze. E tuttavia ciò che è evidente è la crisi dei due grandi modelli di università, quello anglosassone, fortemente orientato al cortocircuito tra economia e formazione qualificata, e quello «europeo», dove la trasmissione del sapere poteva avvenire solo in un mondo a parte, separato cioè dalla realtà.

E non è quindi un caso che le pratiche di resistenza alla trasformazione delle università in attività produttive si pongano decisamente lo sviluppo di università autonome, dove sperimentare modalità di produzione e trasmissione del sapere a partire dalla convinzione che la conoscenza è sempre il risultato di pratiche sociali collettive tese a far crescere e arricchire gli «alberi della
conoscenza».

Negli anni Sessanta del Novecento lo studioso statunitense Robert Merton scrisse un saggio è divenuto un piccolo classico sul rapporto tra produzione di conoscenza e sapere accumulati nel passato. Si trattava de «Sulle spalle dei giganti», laddove lo studioso americano riprendeva una frase di Isaac Newton, che sottolineava appunto il fatto che aveva potuto elaborare la sua tesi sulla forza di gravità grazie all'opera di scienziati del passato. Ma anche in questo caso il risultato era proprietà esclusiva dell'inventore.

Ciò che contraddittoriamente emerge dalla crisi dei modelli universitari dominanti è il carattere squisitamente sociale della produzione di conoscenza e che la trasformazione delle università in imprese tende a legittimare l'appropriazione privata del sapere che tale trasformazione veicola.
Da qui, la necessità di affermare l'autonomia delle pratiche culturali, comprese quelle universitarie.

D'altronde, lo sforzo progettuale teso a sperimentare un'università autonoma è il background, nonché l'obiettivo de <<Università globale>>, il volume presentato in questa pagina. Si tratta di saggi che narrano esperienze di corsi che rompono con l'autoreferenzialità delle discipline e che fanno inoltre crollare le mura che spesso separano gli ambiti disciplinari.

Testi scritti con stili espositivi diversi, ma
tuttavia convergenti nell'immaginare un modello di università autonomo dal mercato, ma anche da quella concezione elitaria del sapere che spesso accompagna le critiche alle proposte di «modernizzare» il sistema della formazione.

La sua lettura offre inoltre alcune coordinate per comprendere l'«onda
anomala» che sta travolgendo le università italiane.

In primo luogo, perché il disegno che si intravede dietro al taglio dei finanziamenti, il blocco parziale del turn-over e la possibilità degli atenei di diventare fondazione è in sintonia con l'università ridotta a impresa.
Inoltre, perché rivendica la radicale alterità a quanti vorrebbero addomesticare tanto le merci prodotte che le materie prime usate.

L'onda anomala
di queste settimane non solo esprime un rifiuto, ma
prefigura una possibile incompatibilità della formazione con lo spirito imprenditoriale dominante. In altri termini, se i corsi universitari devono produrre una forza-lavoro con le competenze necessarie al mercato del lavoro e plasmata dai principi dell'individuo proprietario, l'onda anomala travolge il progetto di normalizzare la formazione.

Il collettivo Edu-factory affronta questi temi a partire da esperienza consumate in altri paesi. Certo, in India o negli Stati Uniti le dinamiche sociali sono altre, ma c'è tuttavia una convergenza tra quanto sta accadendo in Italia e la riflessione proveniente da quelle due realtà, in particolar modo quando affrontano criticamente le questioni del multiculturalismo o della scelta di riviste anglosassoni come certificazione del lavoro di ricerca scelta.

Temi apparentemente
lontani dalla denuncia del potere di veto o di condizionamento delle imprese private nella scelta dei campi di ricerca da «coltivare». La possibilità che prenda corpo un progetto di università autonoma deve sì misurarsi con le trasformazioni strutturali, ma anche con le materie insegnate, i contenuti trasmessi, la critica al rapporto asimmetrico di potere tra docente e discente. Argomenti tutti discussi in questo volume, ma
argomenti che sono diventati il creativo contesto in cui si muove l'onda anomala che ha scosso finalmente un'università, quella italiana, che mostrava l'indiscutibile segno del declino.



I CAMPUS DEL CONFLITTO -
SOGGETTIVITÀ INTRADUCIBILI ALLE NORME DEL MERCATO
«Università globali», raccolti in un volume i materiali del collettivo Edu-factory.

I mutamenti nel sistema della formazione, dal rapporto con il mercato del lavoro e le imprese alla critica della proprietà intellettuale
Jon Solomon

I due temi di discussione di edu-factory sono da un lato le gerarchie nel mercato dell'istruzione superiore in connessione alla divisione del lavoro, dall'altro le forme di resistenza e la possibile costruzione di un'università autonoma. Il mio contributo indaga la loro articolazione comune a partire dalla ristrutturazione dell'università a Taiwan, mettendo a fuoco la centralità della lingua e della traduzione.

Propongo
infine di considerare la riorganizzazione radicale delle scienze umane
come obiettivo pratico ed epistemologico di un'università autonoma. L'inglese globale - combinazione di politiche di governo, tendenze di mercato e disposizioni intellettuali ereditate dalla modernità coloniale/imperiale - ha acquisito lo status di lingua ufficiale per l'istruzione superiore a Taiwan. Ad esempio, la promozione alla junior faculty e il sistema di valutazione del rendimento dipende dalla pubblicazione nei giornali inglesi; un numero crescente di corsi di laurea è in inglese, mentre corsi telematici obbligatori con piattaforme e-learning (in inglese) prevedono uno scambio con un'università anglofona gemellata; gli studenti laureati in lingue e letterature di matrice non anglofona devono seguire corsi supplementari in inglese.

In
breve, l'inglese globale è essenziale per l'accreditamento. Ciò pone il sistema universitario taiwanese in una posizione di dipendenza dall'industria della formazione anglofona globale. Sul lungo periodo, le istituzioni non riusciranno a preservare la loro autonomia di fronte all'espansione aggressiva condotta in Asia orientale e altrove dalle università anglofone.
Se vogliamo analizzare la costituzione di catene
transnazionali di istruzione superiore, dobbiamo analizzare cosa ciò significhi e dove si situano le possibilità di trasformazione.

Un problema di traduzione

Il paradigma di organizzazione nazionale è alla base di molte delle critiche al predominio della lingua inglese nel mercato della formazione globale, in funzione difensiva contro il neoliberalismo. Queste critiche muovono dall'assunto per cui sia la lingua che la differenza linguistica corrispondono - in modo naturalistico - ad una differenza antropologica.

La prospettiva della traduzione ci insegna che ciascuno degli stati
linguistici individuali dell'età moderna non è l'esito della creazione organica di un «popolo», bensì il risultato cristallizzato di una tecnica governamentale su scala globale - una tecnologia soggettiva di traduzione che assorbe le lingue invece di distinguerle - orientata alla gestione della popolazione. La categoria di lingua nazionale, cruciale per la formazione biopolitica delle popolazioni globali nel sistema degli stati-nazione, è il prodotto di una traduzione. La formazione delle lingue nazionali non avviene prima del processo di traduzione, ma solo a partire da esso.

Quindi, parlare nel codice di una lingua
nazionale significa parlare tramite la mediazione di una traduzione. In questo regime di traduzione, la missione dell'università moderna è di lavorare per lo Stato-nazione nella produzione di un'estetica della cultura nazionale.

I differenti sistemi universitari sono quindi
istituzioni di traduzione nazionale, con l'obiettivo di produrre conoscenza nel codice della lingua nazionale, in corrispondenza con le particolarità storiche e le differenze di genere, razza e classe. In altre parole, la razionalità di tali istituzioni ha la sua radice al di fuori dei confini dell'università: è collocata nello Stato-nazione.

Oggi
tale supposta esteriorità dell'istituzione universitaria (insieme alla presunta interiorità «biologica» della lingua nazionale) non incontra più il bisogno di accumulazione flessibile, trasversale ai differenti mercati linguistici, richiesto da un'economia postfordista. Nel momento in cui il linguaggio è immediatamente produttivo, il coefficiente di differenza tra le lingue globali è direttamente incorporato, come principio organizzativo, nell'università, tanto per il valore della conoscenza, quanto per la cartografia che organizza la mappa cognitiva in regioni e differenze antropologiche.


Oltre i confini linguistici
Tutto ciò implica una moltiplicazione crescente, in termini di produzione e riproduzione, delle differenze di classe, organizzate secondo differenze etnico-linguistiche. E ci obbliga a ripensare tanto la nozione foucaultiana di università come stato disciplinare, quanto quella althusseriana di università come apparato ideologico statale.
Quello che né Michel FoucaultLouis Althusser avevano previsto era una situazione nella quale intere lingue sarebbero diventate in se stesse pratiche di disciplina e ideologia. Il relativo status della lingua inglese e cinese, nell'istruzione superiore taiwanese, non rivela solo l'esistenza di un'equazione tra competenza normativa e razionalità economica, ma una connessione tra questi due elementi e la cartografia delle regioni geografiche, delle differenze antropologiche e degli ordini di conoscenza codificati in lingue nazionali differenti, la cui sistematizzazione è gerarchica.

Non esiste, quindi, una pretesa di
parità di status tra inglese e cinese; l'iniquità del sistema di punteggio rende tale disparità quantitativa e, come tale, impossibile da negare.

Il fatto che le università anglofone non presentino
immediatamente alcun differenziale linguistico interno alla loro costituzione, non significa che non debbano fronteggiare gli stessi problemi dei sistemi universitari non occidentali. Proprio perchè alle lingue non occidentali viene delegata la funzione di lingue antropologicamente specifiche, utili per campi e discipline specializzate, esse sono in grado di istituire e controllare i confini tra le lingue.

Nel mantenimento della scarsità e dei controlli di confine c'è una
convergenza tra organizzazione interna dell'università, divisione della conoscenza lungo le direttrici linguistico-antropologiche e governamentalità neoliberale. Poiché la relazione differenziale tra lingue nazionalizzate in un mondo postcoloniale è interno all'università (cosa che rende l'«Università della Cultura Nazionale» una mera facciata), è necessario un apparato che gestisca il «differente» e i suoi conflitti.

Se le scienze umane nell'economia postfordista
perdessero il monopolio sulla conoscenza, continuerebbero a giocare un ruolo cruciale nel regime neoliberale, ad esempio mantenendo la normatività degli standard morali. Poiché la storia della nazionalizzazione linguistica - una storia sordida, fatta di repressione delle differenze di minoranza e di riorganizzazione del territorio e del lavoro condotta da uno stato post-imperiale o coloniale - va per definizione ripudiata, la lingua nazionale si rivela lo strumento più utile a fornire uno standard morale costitutivamente spoliticizzato, adatto a gestire la delegittimazione neoliberale del politico.


Eredità coloniali
Il regime linguistico del mercato neoliberale dell'università assume una funzione simile a quella dell'aiuto umanitario e del riscaldamento globale: è impossibile non concordare con tali istanze, ma tali costruzioni archetipiche di un discorso morale spoliticizzato creano un'estetica normalizzatrice, che insabbia la complessità delle relazioni politiche, sociali ed economiche.

Molte discussioni sulla corporate university propongono di
rivitalizzare l'università come luogo di resistenza politica e culturale contro gli imperativi neoliberali. L'obiettivo politico non è in discussione, ma la loro efficacia è considerevolmente ridimensionata dalla struttura nazionale implicita nelle nozioni di «cultura» e «politica» ereditate dalla modernità imperiale/coloniale.

Si rischia infatti di ignorare
non soltanto il nesso che - a dispetto della loro apparente contraddizione- lega nazionalismo e neoliberalismo, ma anche di rafforzare il lascito coloniale dell'«Università della Cultura Nazionale».

La relazione tra le lingue ha sempre a che vedere con la costruzione differenziale delle posizioni dei soggetti. Il problema non è che l'inglese globale si trovi a dominare il mercato dell'istruzione superiore, ma piuttosto il fatto che il «differente» tra le lingue sia sussunto dalla logica del capitale e introiettato nell'organizzazione universitaria.

Il problema è che tale «differente» si istituisce in
connessione alla moltiplicazione di «classe», come codifica di una differenza antropologica interna al processo di costituzione di uno stato globale. È tale «internalizzazione» che dobbiamo trasformare.

Allora, decostruire la gerarchia del linguaggio non è tanto rivoluzionario quanto trasformare ed appropriarsi di quella operazione -la traduzione - che costruisce linguaggi e li organizza in modo gerarchico, per inventare così una nuova base, non antropologica e non coloniale, per le scienze umane e per le relazioni sociali.

Piuttosto
che attestarsi in posizione di retroguardia contro il dominio dell'inglese globale, in difesa di una lingua nazionale strutturata dal regime della traduzione, dovremmo tentare di mobilitare non questa o quella lingua, ma il fatto stesso che il «differente» linguistico sia stato introiettato nel sistema universitario globale come principio organizzativo e forma strutturata della soggettività.

L'università
autonoma può, quindi, trarre vantaggio dalla specificità del biopotere della lingua nel sistema universitario, per realizzare una trasformazione biopolitica che possa essere «esternalizzata».

Tassonomie della rivolta

Abbiamo dunque bisogno di contro-pratiche di traduzione-controcorrente volte a una riorganizzazione radicale di lungo periodo delle discipline della conoscenza. Discipline e regioni che non hanno nulla a che vedere con le culture e le lingue non occidentali sono il terreno primario di insorgenza, luoghi dove mobilitare il «differente» linguistico.

Tramite
il rifiuto dello schema tassonomico della differenza antropologica gestito dalla traduzione (dispositivo per il governo delle popolazioni e per le divisioni disciplinari a partire dalla conquista coloniale), l'insorgenza mira a modellare oggetti transdisciplinari, transculturali, transnazionali e translinguistici, dove prima esistevano solo oggetti univoci e unitari.

Le scienze umane, prima organizzate su base
nazionale, possono così divenire il luogo per forme biopolitiche di invenzione.
L'obiettivo di questo progetto è la riorganizzazione delle
relazioni sociali codificate nelle divisioni disciplinari delle scienze umane, lungo le direttrici di una figura transdisciplinare nuova - la moltitudine degli stranieri - non più legata alla struttura del risentimento e alla tassonomia della differenza «metafisicoloniale».




Il valore del sapere

Un gruppo di studenti, ricercatori e docenti che si è costituito nel corso del tempo, grazie anche a un certo «nomadismo» culturale che ha consentito di mettere a confronto esperienze eterogenee.

È nato così
il collettivo «edu-factory», che ha messo in piedi un gruppo di discussione telematica attorno all'«industria del sapere» che vede ricercatori, studenti e docenti italiani, inglesi, francesi, spagnoli, tedeschi, statunitensi, austrialiani, cinesi, indiani. Per mesi, attorno ad alcuni temi - rapporto tra università e mondo del lavoro, il multiculturalismo, la crisi della democrazia, la dimensione globale nella produzione del sapere - i partecipanti alla lista di discussione sono stati chiamati da dare il loro contributo. Ora quei contributi sono stati raccolti nel volume «Università globale. Il nuovo mercato del sapere» (manifestolibri)



NEUROGREEN
ecologie sociali, strategie radicali
negli anni zerozero della catastrofe
http://liste.rekombinant.org/wws/subrequest/neurogreen

Email di Teresa

Ciao Enrico,ti sembrerà strano ricevere un e-mail da una perfetta sconosciuta...ma ieri ho visto il programma anno zero di Santoro"quanto vale il nostro futuro?"e mi sono ricosciuta molto nei vostri problemi e nei vostri pensieri.Mi sei piaciuto molto anzi...mi siete piaciuti molto. Vi faccio i complimenti per la vostra preparazione frutto immagino di grandi sacrifici perchè anche io sono una studentessa universitaria e so quanto costa crearsi un futuro....e poi chissà se questo futuro tanto sognato..tanto sperato...tanto cercato esista davvero!!!io mi auguro di si,per me e per tutti voi!!!siete l'orgoglio della calabria,della calabria che sogna, che studia,che lavora(o che vorrebbe farlo)e che lotta per i suoi diritti...e per un avvenire non solo nostro ma di tutti quelli che verranno.
Mi auguro che tutti i vostri tentativi di cambiare le cose non siano vani ma portino veramente ai risultati sperati!!!
Spero che nn ti dia fastidio ricevere questa mia o che nn abbia sbagliato persona...

ti invio inoltre una bellissima poesia che esorta a lottare a capovolgere le cose senza rischiare di morire dentro stando fermi a non fare niente

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante. Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare. Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

Assemblea del 21 Novembre

Oggi nel giorno 21 del mese di novembre dell’anno 2008 presso l’aula P2 del cubo 42C si è riunita l’Assemblea dei Precari Invisibili della Ricerca.

Messi in discussione i seguenti punti dell’OdG:
• Discussione Anno Zero e Senato Accademico
• Incontro Rettore
• Proposta lettera aperta


L’Assemblea inizia, e prosegue per tutta la sua durata, con la discussione dei punti che saranno oggetto di confronto con il Rettore nell’incontro di lunedì prossimo 24 novembre alle ore 11:30.
Dopo una brevissima sintesi dello svolgimento del Senato Accademico del 18 novembre in cui si ribadisce la volontà di dialogo del Rettore si da lettura dei contenuti dei documenti preparati dal gruppo documenti-statistiche.
Si riflette sui dati di bilancio (dal 2004 al 2007) riportati in un grafico distribuito durante la discussione.
Si evidenzia che nel corso degli anni la percentuale di spesa personale su FFO è pari alla media di 80,41% evincendo una volontà dell’ateneo di tenersi al di sotto della percentuale del 90% con conseguente sottoutilizzo dei fondi inerenti le spese per i dipendenti.
Da questi primi dati si evince la necessità di un maggior approfondimento sull’analisi dei dati stessi soprattutto riferito alle indennità e alle modalità di riporto e di riutilizzo degli avanzi degli anni precedenti.
Il gruppo ha preparato un altro documento che evidenzia i dati aggiornati al 2007/2008 dei pensionamenti previsti per docenti (ordinari e associati) e ricercatori. I dati si riferiscono al personale compreso dalla fascia di classe 1935-1943 per un totale di 51 unità.
Ciò che emerge durante la discussione è la necessità di considerare nel calcolo e di avere,dunque, dati espliciti, sia delle spese che del pensionamento, gli amministrativi.
A fronte delle riflessioni e dei confronti emergono 5 punti su cui lavorare per poter stilare un ulteriore documento da presentare in sede di colloquio con il Rettore:
1.richiesta di passare il 60% del 50% del turnover destinato per il personale a tempo indeterminato al 100%
2.Incentivare il pensionamento per avere disponibilità di più risorse da destinare alla ricerca. Ma alla base di questa richiesta è necessaria un’opportuna richiesta di informazioni circa le modalità di pensionamento nel periodo 2008-2012. Va, perciò, verificata l’età di pensionamento degli ordinari (che dovrebbe essere pari a 70 anni), degli associati (pari a 67) e ricercatori (pari a 65 obbligatori) nonché degli amministrativi.
3.Informazioni sul budget (fattiva disponibilità e modalità di erogazione)
4.Ipotesi di accordo sentito il gruppo delle normative che dovrà analizzare i documenti delle università di Brescia e Torino. Con individuazione delle figura più opportuna da proporre e di conseguenza dei diritti, doveri che gravitano intorno ad essa ( retribuzione, trattamento economico e dei compiti, attività didattiche, maternità/paternità, malattia, trattamento pensionistico). La riflessione deve ricadere su quanto letto da Enrico partendo dal documento di Torino
5.Indennità.

Come più volte ricordato, non deve essere sottovalutato o dimenticato uno dei punti base della protesta del movimento dei precari invisibili della ricerca: eliminare i contratti parasubordinati che non offrono né diritti né tutela.

Si conclude l’assemblea ribadendo la necessità di avviare al più presto le analisi dei vari documenti aggiornandoci a lunedì 24 prima dell’incontro con il Rettore per la definitiva elencazione e specificazione delle richieste da presentare.
L’orario e il luogo saranno inseriti nel blog al più presto.

Per l’approfondimento dei punti rimasti in sospeso si rimanda alla prossima riunione.
Non essendoci altro da verbalizzare l’assemblea si conclude alle ore 14:00.

lunedì 17 novembre 2008

Assemblea del 17 novembre

Il comitato dei precari invisibili della ricerca riunitosi in assemblea nella giornata del 17 novembre 2008, come da ordine del giorno, ha discusso i seguenti punti: manifestazione nazionale e lavori dell’assemblea della RNRP nelle giornate di venerdì14 e sabato 15; attività parallela di denuncia e protesta svolta da quanti non
hanno potuto essere presenti a Roma; lettera aperta inviata all’attenzione di tutto il gruppo da parte di un gruppo di dottorandi. La relazione di quanti hanno preso parte al corteo e ai lavori della rete nazionale precari a Roma ha permesso ai membri del gruppo assenti alla manifestazione nazionale di raccordarsi a questa attraverso un resoconto dettagliato e minuzioso delle iniziative svolte. In particolare, è stato sottolineato il momento fondamentale e costituente rappresentato dai workshop di lavoro seguiti alla manifestazione e prolungatisi fino alla giornata di sabato 15. Dal lavoro di riflessione e discussione critica svolto nell’ambito dei tre workshop tematici (ricerca e formazione, welfare e didattica) sono emersi degli orientamenti di fondo per un ripensamento complessivo del sistema universitario e dell’accesso al sapere, concretizzatisi in linee guida per una proposta di autoriforma o di riforma dal basso dell’Università. Alcuni dei punti cardine affrontati nei workshop sono: estensione della protesta per comprendere il mondo del lavoro e, quindi, denuncia e lotta alla precarietà come variabile sociale e
generazionale, rivendicazione del diritto allo studio per un’università di massa e di qualità, rifiuto del prestito d’onore come forma di autofinanziamento del percorso di studi e rivendicazione del diritto al reddito, superamento del 3+2, autonomia della ricerca, criteri altri per la valutazione del merito, creazione di un archivio nazionale del sapere pubblico, indagine di censimento nazionale dei
precari. Come più volte ribadito, questi punti qui richiamati in maniera parziale e schematica, costituiscono la base per la preparazione di un documento più dettagliato e definito di riforma, o meglio di autoriforma del sistema universitario nel suo complesso, che a partire da un ripensamento delle forme di solidarietà collettiva che la precarizzazione dei rapporti sociali ha finora eroso e indebolito,
si estenda in maniera trasversale anche agli altri ambiti del mondo del lavoro (le linee guida complete, di cui è stata data lettura nel corso della riunione, sono disponibili on line). Nel corso della discussione che ha avuto luogo nel workshop ricerca e formazione, è emersa, inoltre, la possibilità di assegnare la gestione
software del sito nazionale dei Ricercatori Precari al gruppo-informatica dei precari invisibili dell’Unical. Questa iniziativa, qualora il gruppo decidesse di accettare la proposta, servirebbe a garantire una migliore efficienza del sito stesso, anche in previsione della costituzione di una “piattaforma dei precari”, ovvero di un canale per l’auto-censimento dei precari che sul sito troverebbe
spazio.
Le attività parallele allo sciopero del 14/11, svolte in città da alcuni membri del gruppo, si sono tradotte in opera di volantinaggio in piazza 11 Settembre, tra le 16:30 e le 18:30. Lo scopo è stato quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della lotta e della protesta che studenti e ricercatori precari stanno portando
avanti, vista anche la bassa, se non inesistente copertura mediatica che le tv hanno dato alla manifestazione nazionale. I volantini distribuiti, il cui contenuto sintetizza le linee elaborate anche in sede di assemblea nazionale sono stati circa duecento. Per quanto riguarda il terzo punto all’ordine del giorno riguardante la lettera aperta dei dottorandi, in sede di assemblea si è deciso di rimandarne la discussione ad un momento successivo. Nel frattempo si è convenuto sulla necessità di focalizzare le proposte presenti nel documento e sottoporle all’attenzione del gruppo nel corso della prossima riunione.
Prima della chiusura dei lavori, si sono discusse le modalità con cui partecipare al Senato Accademico di domani pomeriggio. L’idea è quella che il gruppo dei precari invisibili, insieme agli studenti che vorranno aderire all’iniziativa, chieda la parola per presentare e leggere il documento redatto, il cui contenuto sarà per l’occasione affinato e aggiornato dal gruppo documento con i nuovi elementi a disposizione.
La prossima riunione è stata fissata per mercoledì 19/11/2008, ore 12:30, aula P2.

I veri problemi della scuola e dell’università

di Silvio Gambino – Calabria Ora 16/XI/2008.

Nel bel mezzo di una mobilitazione studentesca che continua a procedere
in forme ragionevoli, equilibrate e sapientemente autonome dalle forze
politiche, rispetto agli attacchi mediatici nei quali l’università
continua ad essere rappresentata dalle sole baronie (che naturalmente
non si vogliono negare) e da inefficienze e da irresponsabilità
generalizzate, appare difficile individuare un tema che possa essere
colto dal lettore come la ricerca del bandolo nella inestricabile
matassa che è l’università e la scuola di oggi.
Di temi sul tavolo ne esistono fin troppi e naturalmente risulta
complesso ordinarli con una gerarchia della loro rilevanza. Vorrei
partire da alcune riflessioni a dir poco infelici uscite dalla penna di
Giovanni Sartori (in un elzeviro pubblicato su Il Corriere della sera,
del 10 novembre u.s.), che, come ha osservato Sansonetti (su Liberazione
dell’11 novembre u.s.), a ben cogliere, costituiscono un vero e proprio
“manifesto dell’idea reazionaria di scuola, istruzione ed educazione”.
Di cui non si aveva affatto bisogno!
Tuttavia, ho citato Sartori per arrivare a parlare delle tesi che
qualcuno ha messo in bocca al Ministro Gelmini e che, forse in modo
malaccorto, quest’ultima ha iniziato a sostenere negli ultimi giorni,
nei suoi interventi a convegni e nelle interviste alla stampa e alle
televisioni. Nel poco recondito intento di sviare il discorso sul tema
centrale costituito della necessità di rivisitare i tagli apportati alla
scuola e all’università dalla legge Tremonti (legge n. 133/08), negli
ultimi giorni, il Ministro Gelmini ha iniziato a brandire argomenti a
dir poco minati sulla bocca di un Ministro dell’Università. Soprattutto
allorché, su queste parole d’ordine, il Ministro si azzarda a chiedere
dialogo e collaborazione dal mondo studentesco, dalle università e dalla
stessa opposizione. Le parole/programmi/proclami cui si rifà, in modo
reiterato, il Ministro Gelmini sono quelle volte a cancellare
“l’ideologia dell’egualitarismo”, con ciò volendosi individuare un nuovo
cahier de doleance nei confronti delle università. Un cahier nel quale,
con un pressappochismo che dimostra, se non proprio assoluta, scarsa
conoscenza della vita delle università, il Ministro dichiara il suo
intento di voler cancellare dalla scuola e dall’università il 18
politico dato a tutti gli studenti. Non so di quale università parli il
Ministro né quale università abbia praticato negli ultimi tempi, anche
da utente. Certo è che affermazioni del tipo di quelle appena richiamate
servono solo – si direbbe – a dare la linea ai tantissimi giornalisti
che nei talk show serali saranno più adeguatamente in grado di offrire
nuovi argomenti sulla ‘fine dell’università’. In modo del tutto simile a
quella ricorrente accusa gridata contro le università del Paese a
proposito della c.d frammentazione dei corsi di laurea, dimenticando di
ricordare che il Ministero dell’Università dispone di ampi strumenti
giuridici e finanziari per sanzionare il mancato rispetto degli standard
quali-quantitativi dei corsi di laurea istituiti. Se dovesse aver
bisogno di una conferma sul punto, il Ministro Gelmini potrebbe ben
rivolgersi alla signora Moratti, che l’ha preceduta nell’incarico, la
quale ha fatto dell’assegnazione del “bollino nero” alle università
inadempienti uno dei marketing più riusciti del suo mandato
ministeriale. Salvo però a non trarne le conseguenze finanziarie o
amministrative per le università inadempienti o non rispettose della
normativa (essa stessa concertata in sede di conferenza dei rettori
delle università italiane)!
Come due più due che fanno sempre quattro, ne desumo che i prossimi
attacchi che saranno rivolti all’università riguarderanno un
general-generico obiettivo egualitaristico che sarebbe nelle menti e
nella pratica dei docenti universitari, assolutamente dimentichi della
missione loro affidata di garantire lo sviluppo della conoscenza e il
suo trasferimento ai più giovani.
Senza rendersene conto, tuttavia, il Ministro Gelmini ha toccato un
nervo scoperto del Paese, di cui occorrerà prima o poi parlarne. Se
possibile in modo serio e adottando da parte di tutti gli attori del
sistema (Ministro, Università, e Scuola in primis) quanto di loro
competenza. I dati OCSE disponibili in materia, pubblicati di recente,
ci dicono che la mobilità sociale in Italia risulta ampiamente
rallentata, sia se la confrontiamo con altri Paesi europei sia se
operiamo un confronto con quanto è avvenuto nei decenni che abbiamo alle
spalle. E così, non è più vero che l’Università riesce a costituire per
tutti gli iscritti un percorso di elevazione sociale; molti studenti,
d’altra parte, si iscrivono all’università e non riescono a concludere
con successo il loro percorso formativo. L’Università, a sua volta, con
risorse anno dopo anno decrescenti, non si trova in condizioni tali da
potersi fare carico dei limiti formativi che spesso gli studenti
iscritti si riportano dagli studi inferiori.
La valutazione dei risultati dei corsi di azzeramento, resa disponibile
negli atenei calabresi da una lungimirante politica di sostegno alla
istruzione pubblica del Vice presidente della Giunta regionale Domenico
Cersosimo, costituirà una buona occasione per riflettere sui rapporti
fra scuola e università e sulle missioni reciproche di queste due
centrali agenzie formative. Un dato è certo e lo può riferire ogni
docente che abbia avuto esperienza didattica in aule composte da 50
studenti e in aule composte da 300 studenti (in passato anche di più).
L’esperienza di chi parla consente di poter riferire un alto grado di
successo negli esami (quasi al 100% nelle aule composte da 50 studenti,
nel mentre il tasso di successo decresce fino al 50% e anche meno nelle
aule composte da 300 studenti). La conclusione appare ovvia ed è
nettamente politica, prima ancora che istituzionale. Il successo del
processo di formazione pubblica è funzione di un rapporto didattico
adeguato fra docente e studente.
Così, se il Paese vuole assicurare ai suoi giovani (diplomati e
laureati) occasioni di lavoro (che in gran parte e sempre più
costituiranno l’opera di una autocreazione di lavoro) e con esso dignità
di piena cittadinanza non esistono altre vie da percorrere che quelle di
investire in modo strategico sulla scuola e sull’università. Riducendo
il rapporto docente/studenti ad un rapporto di 1 docente per 50
studenti, e non di più (questo rapporto nelle aule scientifico
tecnologiche deve diventare di 1 docente a 15-20 studenti). Formare in
aula studenti pienamente consapevoli, d’altra parte, costituirà un
volano pressoché automatico per lo stesso sviluppo della ricerca
(pubblica e privata). In ogni caso, gli studenti che avranno meritato
rispetto all’impegno dimostrato nel processo formativo, posti in
condizione di rendere al massimo nelle loro performances formative,
avranno maggiori possibilità di entrare nei campi della ricerca e più in
generale avranno un know how adeguato per il loro ingresso in un mercato
del lavoro sempre più selettivo. Questa scelta costituisce, così, una
via di uscita importante per il loro futuro e al contempo una
opportunità che il Paese non può disperdere. La fuga dei cervelli cioè
non si risolve con le giaculatorie pronunciate a “Porta a porta” ma con
l’assegnazione di precise risorse e con la valorizzazione dei docenti
(dalle scuole materne fino all’università). Fare una buona scuola e una
buona università contro i docenti costituisce un evidente paradosso!
Se facciamo un po’ di conti sapremmo dunque cosa attenderci da un
Ministro della scuola e dell’università. Più docenti, più aule, più
laboratori: sempre che siamo convinti della loro utilità strategica per
lo sviluppo del Paese e per lo sviluppo della crescita sociale. Non
ultimo per orientare in modo responsabile il nostro diritto di
partecipazione politica!
Naturalmente c’è un problema di governance. Se questo giornale continua
a ospitarmi dirò nei prossimi giorni in che modo l’università può darsi
forme di controllo sociale, assolutamente necessarie a dimostrare
l’adeguatezza e la responsabilità dell’esercizio della sua autonomia nei
confronti degli studenti, delle loro famiglie, delle imprese, in una
parola del Paese!

giovedì 13 novembre 2008

assemblea anche il 14

Attenzione, da RNRP il seguente avviso:
L'assemblea del 14 si terrà nell' Aula Amaldi, Fisica, Ed. Marconi, Universita` Sapienza, Piazzale A. Moro 2 Ore 17.
Saluti a Tutti amerigo

Assemblea del 13 Novembre

Oggi nel giorno 12 del mese di novembre dell’anno 2008 presso l’aula P2 del cubo 42C si è riunita l’Assemblea dei Precari Invisibili della Ricerca.

Messi in discussione i seguenti punti dell’OdG:
• Logistica Manifestazione Roma e Comunicazioni varie
• Contenuti della Manifestazione
• Altro

L’Assemblea inizia con la sottolineatura dell’importanza della partecipazione alla Manifestazione e all’Assemblea Nazionale che si terranno giorno 14, 15 e 16 a Roma come momento fondamentale per portare avanti l’istanza della protesta dei precari invisibili della ricerca UNICAL.
Si da lettura dei contenuti del Programma dell’Assemblea nazionale con evidenza dei 3 workshop che riguarderanno rispettivamente:
• La didattica
• Il welfare e il diritto allo studio
• Formazione e lavoro.
Si avvia la discussione punto per punto.
La riflessione parte dal sistema dei 3+2 considerato fallimentare nei principi e nei modi.
Il sistema è stata analizzando scomponendolo nei seguenti punti:
• Accorpamento esami
• Eliminazione crediti
• Abolizione della frequenza obbligatoria
• Abolizione del numero chiuso
• Trasmissione orizzontale dei saperi
Il dibattito è stato intenso e acceso. Il confronto ha portato all’esternazione delle proprie esperienze personali come strumento di analisi del funzionamento o meno del sistema.
La necessità di contestualizzare il sistema 3+2, di rivederlo per intero e di ristrutturarlo con altre forme e modi in alcuni punti piuttosto che in altri (la frequenza obbligatoria e il numero chiuso) porta in conclusione al NO del 3+2. La maggioranza dei presenti (dopo richiesta di votazione) non condivide né i principi né i modi in cui la riforma è stata decisa. La proposta che emerge è il 4+1.
Il NO proviene dalla constatazione del/della/e:
- cattiva programmazione dei moduli didattici
- contraddizioni del sistema che interessano allo stesso tempo docente e studente
- sistema basato sul fenomeno “esamificio” che incide negativamente sull’assimilazione dei concetti
- frammentazione didattica
La discussione si è oggettivamente accesa e prolungata su due punti in particolare:i crediti e l’accorpamento degli esami.
Per quanto concerne il punto inerente i crediti, si fa largo l’affermazione secondo la quale l’abolizione non è possibile, ma è possibile e necessaria la valutazione delle modalità di assegnazione degli stessi negli altri paesi per proporre una eventuale ristrutturazione nel nostro sistema. Sono stati riportati dati tecnici che evidenziano quanto in Italia lo studente risente del carico di ore in cui la didattica è organizzata.
L’altro punto porta anche alla proposta di un accorpamento non solo di esami ma anche di corsi di laurea (inutili e con pochi iscritti).

Il secondo punto, welfare e diritto allo studio, è stato scomposto essenzialmente in due macropunti:
• Prestiti d’onore
• Proposte per unificare il diritto allo studio e il benessere dello studente (sintetizzabile in servizi mensa, alloggi, ecc.
Il dibattito porta rispettivamente alla riflessione e alla conseguente proposta inerenti le modalità di accesso al credito (stando attenti a contrastare le tendenze pericolose presenti per esempio nel modello americano) e di riutilizzare gli elementi di reddito e merito come in passato. La premessa al dibattito è che il diritto allo studio è un diritto che deve restare tale.
Il terzo e ultimo punto oggetto di discussione è la formazione e lavoro che riguarda in modo diretto la necessità di democratizzazione e autonomia della ricerca. La riflessione e il dibattito su:
• Abolizione classi di docenza
• Sistemi di reclutamento
• Fondazioni
• Sistemi di valutazione
• Forme di contratto con abolizione dei contratti atipici
è stata limitata vista la presenza esigua e la necessità di approfondire meglio l’analisi dei punti per poter esprimere proposte concrete.

Durante lo svolgimento dell’assemblea si precisa la volontà del gruppo dei precari della ricerca di entrare in contatto con i precari dell’amministrazione per un confronto di qualità e per l’incentivazione del percorso di protesta dei precari del comparto amministrativo. Le persone da contattare in tal senso sono Monica Lanzillotta e il manager didattico di DES Monica Veneziani.
Inoltre,si porta a conoscenza dell’assemblea
• della possibilità di un tavolo di discussione in cui si chiede ufficialmente la posizione inerente la nostra istanza.
• e la possibilità/necessità di effettuare i censimenti di dottorandi, assegnisti e contrattisti vari.

Si conclude l’assemblea con la necessità di comunicare il numero effettivo dei partecipanti alla manifestazione per consentire agli studenti di coprire i posti vacanti dell’autobus.
L’adesione, al momento, è di 22 persone, di cui 7 parteciperanno ai workshop.

Per l’approfondimento dei punti rimasti in sospeso si rimanda alla prossima riunione.
Non essendoci altro da verbalizzare l’assemblea si conclude alle ore 14:00.

mercoledì 12 novembre 2008

Ecco la lettera di Nora Precisa (rappresentante della Rete Nazionale dei Ricercatori Precari-RNRP) alla Gelmini:


Cara Mariastella,
mi permetto di darti del tu visto che siamo quasi coetanee ed entrambe precarie. Apprezzo il tuo
tentativo di aprire alla discussione l’ennesima riforma che viene dal mondo politico. Spero che i
provvedimenti evidenziati non celino solo il tentativo di dividere il dissenso sulla Legge 133. Se il
tuo è un tentativo di affrontare uno dei problemi principali dell’Universita’ italiana, ossia le
“baronie” e l’inefficienza, alcune novita’ proposte, pur andando nella giusta direzione, sono del
tutto insufficienti e non toccano la radice di questi problemi.
Il potere delle gerarchie accademiche si fonda almeno su cinque architravi:
1. Un diffuso precariato, fondato sul continuo ricatto e il lavoro non retribuito
2. Il grave sottofinanziamento del sistema dell’alta formazione e dalla ricerca.
3. La mancanza di autentica trasparenza collegato ad un deficit di rappresentanza e
partecipazione nella gestione degli atenei che, ad esempio, premia passaggi di ruolo
alle nuove assunzioni.
4. La forte centralizzazione verticistica delle strutture accademiche.
5. Le riforme precedenti, in primis il 3+2, del sistema che hanno spinto gli Atenei a
far proliferare sedi e corsi alla ricerca di finanziamenti, iscritti/e o, peggio, di
“appoggi politico-territoriali”.
Qualsiasi modifica normativa che non intacchi queste condizioni strutturali sara’ inutile. Su alcuni
di questi ambiti il decreto come presentato, introducendo misure che indichiamo da anni come il
vincolo sul reclutamento e l’introduzione del sorteggio delle commissioni giudicatrici, sono
condivisibili. In ogni caso, molti altri provvedimenti che hai proposto (e approvato con la legge
133) vanno in direzione contraria.
Diminuiscono il finanziamento invece di aumentarlo. Aumentano il potere di Rettori e CdA invece
di aumentare partecipazione e rappresentanza. Rallentano il reclutamento (turn-over) invece di
garantire percorsi certi di ingresso dei giovani e dei precari. Confermano l’esaurimento della figura
del Ricercatore universitario invece di, ad esempio, prevedere un’unica forma contrattuale, per
l’attività docente e di ricerca a tempo determinato, o combattere ogni forma di collaborazione non
contrattualizzata o priva dei diritti minimi.
Noi “ricercatori precari” abbiamo numerose idee e proposte per cambiare quell’Universita’ che
facciamo (soprav)vivere ogni giorno, ma se fino ad ora la tua maggioranza, come i Ministri Moratti
e Mussi, pare non voglia nemmeno ascoltarle.
E’ per questo che l’Onda continuera’ a travolgerti.
Buona fortuna
Nora Precisa
Portavoce della Rete Nazionale Ricercatori Precari