lunedì 17 novembre 2008

Assemblea del 17 novembre

Il comitato dei precari invisibili della ricerca riunitosi in assemblea nella giornata del 17 novembre 2008, come da ordine del giorno, ha discusso i seguenti punti: manifestazione nazionale e lavori dell’assemblea della RNRP nelle giornate di venerdì14 e sabato 15; attività parallela di denuncia e protesta svolta da quanti non
hanno potuto essere presenti a Roma; lettera aperta inviata all’attenzione di tutto il gruppo da parte di un gruppo di dottorandi. La relazione di quanti hanno preso parte al corteo e ai lavori della rete nazionale precari a Roma ha permesso ai membri del gruppo assenti alla manifestazione nazionale di raccordarsi a questa attraverso un resoconto dettagliato e minuzioso delle iniziative svolte. In particolare, è stato sottolineato il momento fondamentale e costituente rappresentato dai workshop di lavoro seguiti alla manifestazione e prolungatisi fino alla giornata di sabato 15. Dal lavoro di riflessione e discussione critica svolto nell’ambito dei tre workshop tematici (ricerca e formazione, welfare e didattica) sono emersi degli orientamenti di fondo per un ripensamento complessivo del sistema universitario e dell’accesso al sapere, concretizzatisi in linee guida per una proposta di autoriforma o di riforma dal basso dell’Università. Alcuni dei punti cardine affrontati nei workshop sono: estensione della protesta per comprendere il mondo del lavoro e, quindi, denuncia e lotta alla precarietà come variabile sociale e
generazionale, rivendicazione del diritto allo studio per un’università di massa e di qualità, rifiuto del prestito d’onore come forma di autofinanziamento del percorso di studi e rivendicazione del diritto al reddito, superamento del 3+2, autonomia della ricerca, criteri altri per la valutazione del merito, creazione di un archivio nazionale del sapere pubblico, indagine di censimento nazionale dei
precari. Come più volte ribadito, questi punti qui richiamati in maniera parziale e schematica, costituiscono la base per la preparazione di un documento più dettagliato e definito di riforma, o meglio di autoriforma del sistema universitario nel suo complesso, che a partire da un ripensamento delle forme di solidarietà collettiva che la precarizzazione dei rapporti sociali ha finora eroso e indebolito,
si estenda in maniera trasversale anche agli altri ambiti del mondo del lavoro (le linee guida complete, di cui è stata data lettura nel corso della riunione, sono disponibili on line). Nel corso della discussione che ha avuto luogo nel workshop ricerca e formazione, è emersa, inoltre, la possibilità di assegnare la gestione
software del sito nazionale dei Ricercatori Precari al gruppo-informatica dei precari invisibili dell’Unical. Questa iniziativa, qualora il gruppo decidesse di accettare la proposta, servirebbe a garantire una migliore efficienza del sito stesso, anche in previsione della costituzione di una “piattaforma dei precari”, ovvero di un canale per l’auto-censimento dei precari che sul sito troverebbe
spazio.
Le attività parallele allo sciopero del 14/11, svolte in città da alcuni membri del gruppo, si sono tradotte in opera di volantinaggio in piazza 11 Settembre, tra le 16:30 e le 18:30. Lo scopo è stato quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della lotta e della protesta che studenti e ricercatori precari stanno portando
avanti, vista anche la bassa, se non inesistente copertura mediatica che le tv hanno dato alla manifestazione nazionale. I volantini distribuiti, il cui contenuto sintetizza le linee elaborate anche in sede di assemblea nazionale sono stati circa duecento. Per quanto riguarda il terzo punto all’ordine del giorno riguardante la lettera aperta dei dottorandi, in sede di assemblea si è deciso di rimandarne la discussione ad un momento successivo. Nel frattempo si è convenuto sulla necessità di focalizzare le proposte presenti nel documento e sottoporle all’attenzione del gruppo nel corso della prossima riunione.
Prima della chiusura dei lavori, si sono discusse le modalità con cui partecipare al Senato Accademico di domani pomeriggio. L’idea è quella che il gruppo dei precari invisibili, insieme agli studenti che vorranno aderire all’iniziativa, chieda la parola per presentare e leggere il documento redatto, il cui contenuto sarà per l’occasione affinato e aggiornato dal gruppo documento con i nuovi elementi a disposizione.
La prossima riunione è stata fissata per mercoledì 19/11/2008, ore 12:30, aula P2.

I veri problemi della scuola e dell’università

di Silvio Gambino – Calabria Ora 16/XI/2008.

Nel bel mezzo di una mobilitazione studentesca che continua a procedere
in forme ragionevoli, equilibrate e sapientemente autonome dalle forze
politiche, rispetto agli attacchi mediatici nei quali l’università
continua ad essere rappresentata dalle sole baronie (che naturalmente
non si vogliono negare) e da inefficienze e da irresponsabilità
generalizzate, appare difficile individuare un tema che possa essere
colto dal lettore come la ricerca del bandolo nella inestricabile
matassa che è l’università e la scuola di oggi.
Di temi sul tavolo ne esistono fin troppi e naturalmente risulta
complesso ordinarli con una gerarchia della loro rilevanza. Vorrei
partire da alcune riflessioni a dir poco infelici uscite dalla penna di
Giovanni Sartori (in un elzeviro pubblicato su Il Corriere della sera,
del 10 novembre u.s.), che, come ha osservato Sansonetti (su Liberazione
dell’11 novembre u.s.), a ben cogliere, costituiscono un vero e proprio
“manifesto dell’idea reazionaria di scuola, istruzione ed educazione”.
Di cui non si aveva affatto bisogno!
Tuttavia, ho citato Sartori per arrivare a parlare delle tesi che
qualcuno ha messo in bocca al Ministro Gelmini e che, forse in modo
malaccorto, quest’ultima ha iniziato a sostenere negli ultimi giorni,
nei suoi interventi a convegni e nelle interviste alla stampa e alle
televisioni. Nel poco recondito intento di sviare il discorso sul tema
centrale costituito della necessità di rivisitare i tagli apportati alla
scuola e all’università dalla legge Tremonti (legge n. 133/08), negli
ultimi giorni, il Ministro Gelmini ha iniziato a brandire argomenti a
dir poco minati sulla bocca di un Ministro dell’Università. Soprattutto
allorché, su queste parole d’ordine, il Ministro si azzarda a chiedere
dialogo e collaborazione dal mondo studentesco, dalle università e dalla
stessa opposizione. Le parole/programmi/proclami cui si rifà, in modo
reiterato, il Ministro Gelmini sono quelle volte a cancellare
“l’ideologia dell’egualitarismo”, con ciò volendosi individuare un nuovo
cahier de doleance nei confronti delle università. Un cahier nel quale,
con un pressappochismo che dimostra, se non proprio assoluta, scarsa
conoscenza della vita delle università, il Ministro dichiara il suo
intento di voler cancellare dalla scuola e dall’università il 18
politico dato a tutti gli studenti. Non so di quale università parli il
Ministro né quale università abbia praticato negli ultimi tempi, anche
da utente. Certo è che affermazioni del tipo di quelle appena richiamate
servono solo – si direbbe – a dare la linea ai tantissimi giornalisti
che nei talk show serali saranno più adeguatamente in grado di offrire
nuovi argomenti sulla ‘fine dell’università’. In modo del tutto simile a
quella ricorrente accusa gridata contro le università del Paese a
proposito della c.d frammentazione dei corsi di laurea, dimenticando di
ricordare che il Ministero dell’Università dispone di ampi strumenti
giuridici e finanziari per sanzionare il mancato rispetto degli standard
quali-quantitativi dei corsi di laurea istituiti. Se dovesse aver
bisogno di una conferma sul punto, il Ministro Gelmini potrebbe ben
rivolgersi alla signora Moratti, che l’ha preceduta nell’incarico, la
quale ha fatto dell’assegnazione del “bollino nero” alle università
inadempienti uno dei marketing più riusciti del suo mandato
ministeriale. Salvo però a non trarne le conseguenze finanziarie o
amministrative per le università inadempienti o non rispettose della
normativa (essa stessa concertata in sede di conferenza dei rettori
delle università italiane)!
Come due più due che fanno sempre quattro, ne desumo che i prossimi
attacchi che saranno rivolti all’università riguarderanno un
general-generico obiettivo egualitaristico che sarebbe nelle menti e
nella pratica dei docenti universitari, assolutamente dimentichi della
missione loro affidata di garantire lo sviluppo della conoscenza e il
suo trasferimento ai più giovani.
Senza rendersene conto, tuttavia, il Ministro Gelmini ha toccato un
nervo scoperto del Paese, di cui occorrerà prima o poi parlarne. Se
possibile in modo serio e adottando da parte di tutti gli attori del
sistema (Ministro, Università, e Scuola in primis) quanto di loro
competenza. I dati OCSE disponibili in materia, pubblicati di recente,
ci dicono che la mobilità sociale in Italia risulta ampiamente
rallentata, sia se la confrontiamo con altri Paesi europei sia se
operiamo un confronto con quanto è avvenuto nei decenni che abbiamo alle
spalle. E così, non è più vero che l’Università riesce a costituire per
tutti gli iscritti un percorso di elevazione sociale; molti studenti,
d’altra parte, si iscrivono all’università e non riescono a concludere
con successo il loro percorso formativo. L’Università, a sua volta, con
risorse anno dopo anno decrescenti, non si trova in condizioni tali da
potersi fare carico dei limiti formativi che spesso gli studenti
iscritti si riportano dagli studi inferiori.
La valutazione dei risultati dei corsi di azzeramento, resa disponibile
negli atenei calabresi da una lungimirante politica di sostegno alla
istruzione pubblica del Vice presidente della Giunta regionale Domenico
Cersosimo, costituirà una buona occasione per riflettere sui rapporti
fra scuola e università e sulle missioni reciproche di queste due
centrali agenzie formative. Un dato è certo e lo può riferire ogni
docente che abbia avuto esperienza didattica in aule composte da 50
studenti e in aule composte da 300 studenti (in passato anche di più).
L’esperienza di chi parla consente di poter riferire un alto grado di
successo negli esami (quasi al 100% nelle aule composte da 50 studenti,
nel mentre il tasso di successo decresce fino al 50% e anche meno nelle
aule composte da 300 studenti). La conclusione appare ovvia ed è
nettamente politica, prima ancora che istituzionale. Il successo del
processo di formazione pubblica è funzione di un rapporto didattico
adeguato fra docente e studente.
Così, se il Paese vuole assicurare ai suoi giovani (diplomati e
laureati) occasioni di lavoro (che in gran parte e sempre più
costituiranno l’opera di una autocreazione di lavoro) e con esso dignità
di piena cittadinanza non esistono altre vie da percorrere che quelle di
investire in modo strategico sulla scuola e sull’università. Riducendo
il rapporto docente/studenti ad un rapporto di 1 docente per 50
studenti, e non di più (questo rapporto nelle aule scientifico
tecnologiche deve diventare di 1 docente a 15-20 studenti). Formare in
aula studenti pienamente consapevoli, d’altra parte, costituirà un
volano pressoché automatico per lo stesso sviluppo della ricerca
(pubblica e privata). In ogni caso, gli studenti che avranno meritato
rispetto all’impegno dimostrato nel processo formativo, posti in
condizione di rendere al massimo nelle loro performances formative,
avranno maggiori possibilità di entrare nei campi della ricerca e più in
generale avranno un know how adeguato per il loro ingresso in un mercato
del lavoro sempre più selettivo. Questa scelta costituisce, così, una
via di uscita importante per il loro futuro e al contempo una
opportunità che il Paese non può disperdere. La fuga dei cervelli cioè
non si risolve con le giaculatorie pronunciate a “Porta a porta” ma con
l’assegnazione di precise risorse e con la valorizzazione dei docenti
(dalle scuole materne fino all’università). Fare una buona scuola e una
buona università contro i docenti costituisce un evidente paradosso!
Se facciamo un po’ di conti sapremmo dunque cosa attenderci da un
Ministro della scuola e dell’università. Più docenti, più aule, più
laboratori: sempre che siamo convinti della loro utilità strategica per
lo sviluppo del Paese e per lo sviluppo della crescita sociale. Non
ultimo per orientare in modo responsabile il nostro diritto di
partecipazione politica!
Naturalmente c’è un problema di governance. Se questo giornale continua
a ospitarmi dirò nei prossimi giorni in che modo l’università può darsi
forme di controllo sociale, assolutamente necessarie a dimostrare
l’adeguatezza e la responsabilità dell’esercizio della sua autonomia nei
confronti degli studenti, delle loro famiglie, delle imprese, in una
parola del Paese!