lunedì 24 novembre 2008

Articolo su Annozero

Riporto l'articolo di Angelo d'Orsi, professore di Storia del Pensiero Politico all'Università di Torino, pubblicato su "Micromega" del 22.11.


22.11.08 - Ad Annozero l’università modello Barbareschi
L’altra sera ho guardato la tv. Non lo faccio mai. Mai più di cinque minuti. Non per snobismo, ma per istinto di sopravvivenza. Non insisto. Sono certo che il lettore condivide i miei sentimenti, le mie sensazioni, la vera e propria angoscia che mi coglie davanti a un televisore acceso. Quale che sia il programma o la rete. Ma l’altra sera mi sono fermato, sia pure a tratti (come quando sei sott’acqua, senza respiratore né bombole d’ossigeno, e hai bisogno di riemergere per prendere fiato, così mi dovevo allontanare, ogni tot minuti, dallo schermo malefico): l’ho fatto per dovere professionale, diciamo così. Si parlava di università, ad Annozero, il programma di Santoro, su Raidue. Mi ha colpito l’arroganza sorridente di un ospite, tale Barbareschi, un attore che in anni non lontani, appena giunto al potere il Cav, aveva cominciato a denunciare “l’egemonia della sinistra” che l’aveva emarginato. Deve aver tanto rotto le scatole – a chi di dovere – che non solo è stato ricuperato in qualche programma televisivo, o forse pure in qualche spettacolino teatrale o in film di adeguato livello, ma addirittura gli è stata offerta una candidatura dal Capo. E, grazie alla legge elettorale dal Capo imposta all’Italia (una legge che il Centrosinistra al potere non ha saputo cancellare in 48 ore come avrebbe potuto e dovuto fare), è inopinatamente divenuto “rappresentante del popolo”. E in quel ruolo sembrava trovarsi perfettamente a suo agio, a giudicare dalla sua performance televisiva, nella quale ostentava un bell’abito nuovo di trinca, una barba perfettamente curata, e soprattutto la sicurezza di chi si sente dentro a “’na botte de fero”, come si dice a Roma…

Sulla base di tale tronfia sicumera, quella del vincitore, e di una pari incompetenza, su praticamente tutti i temi affrontati, il bel tomo interrompeva, ingiuriava, o, peggio, faceva le mostre di un sarcasmo patetico, ma anche inquietante. Parlava di università, il signor Barbareschi, pavoneggiandosi come se recitasse al Piccolo Teatro nei panni di un personaggio cechoviano, tipo ricco possidente che riceve i mugiki che portano le loro rimostranze, e ne ottengono in prima istanza una ramanzina, e, se insistono, una “salutare” bastonatura, inflitta tramite servi. Si era addirittura, il bellimbusto, portato dei “documenti”, che ha citato male, prendendo fischi per fiaschi, confondendo sedi universitarie, corsi di laurea, progetti di ricerca. Tutto a dimostrare che l’università e la scuola italiana vanno malissimo e che è necessario qualificare, rinnovare, “spendere meglio” (ora si dice così, quando si devono giustificare tagli alle spese essenziali, sociali, e culturali: spendere meglio) e che questo è l’intento della signora Gelmini, e del Capo. (Salvo, poi, aggredire il conduttore o chiunque altri esprimesse critiche alla situazione attuale, accusandoli di “spargere pessimismo”: come è noto la parola d’ordine del padrone è, ora: ottimismo, buonumore, e tanti sorrisi). Appollaiato in alto, goffo e stridulo, uno studente “dell’altra parte” (“perché non si fanno parlare anche gli studenti dell’altra parte?”, reclamava il cicisbeo: “ce ne sono tanti!”), gli dava man forte, in un duetto finale con uno studente piddì, che lo chiamava per nome, insistendo sull’amicizia con il fascistello. Penoso.
Per fortuna c’era anche un ragazzo esperto di leggi, di dati, e capace di ragionare criticamente: ma sembrava terribilmente fuori posto, anche perché, là, la parola te la devi guadagnare e la devi difendere mitra alla mano. Del resto anche il grande Fuksas, anneddotico (intanto insultato dall’impunito Barbareschi, dall’alto non si sa di quale scienza ed etica), non ha dato alcun contributo degno di questo nome al dibattito. E il buon Perotti non faceva che ripetere le tesi assolutamente “bocconiane” che tripudiano nel suo libro sull’università (che ha avuto la fortuna di uscire al momento giusto, altrimenti nessuno se lo sarebbe filato, come è capitato a molti altri libri prima di questo, rimasti cibo per palati raffinati e solinghi). Dalla Cattolica, Pietro Schlesinger, su uno schermo gigante, come un predicatore medievale, scagliava anatemi. Uno scenario surreale.

Se non sapessi qualcosa del mondo accademico, da quelle due ore, o forse più, di talk show, non avrei imparato un fico secco. Mi ha confortato però vedere e sentire i giovani dell’Università della Calabria: seri, ma vivaci, preparati, ma portatori di autentico sapere critico, combattivi, senza estremismi. Se la lotta proseguirà, se non si arenerà, lo si dovrà a giovani come quelli. Studenti di un ateneo periferico, in una delle zone disastrate del Paese, un ateneo di quelli, probabilmente, “a rischio Tremonti”. Dove, guarda caso, ci sono – accanto ai casi di corruzione denunciati, che umiliano intelligenza e volontà di studiare – giovani dai quali tutti abbiamo da apprendere qualcosa, specie considerando la loro prevalente estrazione sociale, perlopiù assai modesta. E allora, pensando a quell’assemblea serale all’Unical, mi sono detto: caro mio, hai sofferto come a un’assemblea di condominio, ma ne è valsa la pena.

Angelo d’Orsi