lunedì 17 novembre 2008

I veri problemi della scuola e dell’università

di Silvio Gambino – Calabria Ora 16/XI/2008.

Nel bel mezzo di una mobilitazione studentesca che continua a procedere
in forme ragionevoli, equilibrate e sapientemente autonome dalle forze
politiche, rispetto agli attacchi mediatici nei quali l’università
continua ad essere rappresentata dalle sole baronie (che naturalmente
non si vogliono negare) e da inefficienze e da irresponsabilità
generalizzate, appare difficile individuare un tema che possa essere
colto dal lettore come la ricerca del bandolo nella inestricabile
matassa che è l’università e la scuola di oggi.
Di temi sul tavolo ne esistono fin troppi e naturalmente risulta
complesso ordinarli con una gerarchia della loro rilevanza. Vorrei
partire da alcune riflessioni a dir poco infelici uscite dalla penna di
Giovanni Sartori (in un elzeviro pubblicato su Il Corriere della sera,
del 10 novembre u.s.), che, come ha osservato Sansonetti (su Liberazione
dell’11 novembre u.s.), a ben cogliere, costituiscono un vero e proprio
“manifesto dell’idea reazionaria di scuola, istruzione ed educazione”.
Di cui non si aveva affatto bisogno!
Tuttavia, ho citato Sartori per arrivare a parlare delle tesi che
qualcuno ha messo in bocca al Ministro Gelmini e che, forse in modo
malaccorto, quest’ultima ha iniziato a sostenere negli ultimi giorni,
nei suoi interventi a convegni e nelle interviste alla stampa e alle
televisioni. Nel poco recondito intento di sviare il discorso sul tema
centrale costituito della necessità di rivisitare i tagli apportati alla
scuola e all’università dalla legge Tremonti (legge n. 133/08), negli
ultimi giorni, il Ministro Gelmini ha iniziato a brandire argomenti a
dir poco minati sulla bocca di un Ministro dell’Università. Soprattutto
allorché, su queste parole d’ordine, il Ministro si azzarda a chiedere
dialogo e collaborazione dal mondo studentesco, dalle università e dalla
stessa opposizione. Le parole/programmi/proclami cui si rifà, in modo
reiterato, il Ministro Gelmini sono quelle volte a cancellare
“l’ideologia dell’egualitarismo”, con ciò volendosi individuare un nuovo
cahier de doleance nei confronti delle università. Un cahier nel quale,
con un pressappochismo che dimostra, se non proprio assoluta, scarsa
conoscenza della vita delle università, il Ministro dichiara il suo
intento di voler cancellare dalla scuola e dall’università il 18
politico dato a tutti gli studenti. Non so di quale università parli il
Ministro né quale università abbia praticato negli ultimi tempi, anche
da utente. Certo è che affermazioni del tipo di quelle appena richiamate
servono solo – si direbbe – a dare la linea ai tantissimi giornalisti
che nei talk show serali saranno più adeguatamente in grado di offrire
nuovi argomenti sulla ‘fine dell’università’. In modo del tutto simile a
quella ricorrente accusa gridata contro le università del Paese a
proposito della c.d frammentazione dei corsi di laurea, dimenticando di
ricordare che il Ministero dell’Università dispone di ampi strumenti
giuridici e finanziari per sanzionare il mancato rispetto degli standard
quali-quantitativi dei corsi di laurea istituiti. Se dovesse aver
bisogno di una conferma sul punto, il Ministro Gelmini potrebbe ben
rivolgersi alla signora Moratti, che l’ha preceduta nell’incarico, la
quale ha fatto dell’assegnazione del “bollino nero” alle università
inadempienti uno dei marketing più riusciti del suo mandato
ministeriale. Salvo però a non trarne le conseguenze finanziarie o
amministrative per le università inadempienti o non rispettose della
normativa (essa stessa concertata in sede di conferenza dei rettori
delle università italiane)!
Come due più due che fanno sempre quattro, ne desumo che i prossimi
attacchi che saranno rivolti all’università riguarderanno un
general-generico obiettivo egualitaristico che sarebbe nelle menti e
nella pratica dei docenti universitari, assolutamente dimentichi della
missione loro affidata di garantire lo sviluppo della conoscenza e il
suo trasferimento ai più giovani.
Senza rendersene conto, tuttavia, il Ministro Gelmini ha toccato un
nervo scoperto del Paese, di cui occorrerà prima o poi parlarne. Se
possibile in modo serio e adottando da parte di tutti gli attori del
sistema (Ministro, Università, e Scuola in primis) quanto di loro
competenza. I dati OCSE disponibili in materia, pubblicati di recente,
ci dicono che la mobilità sociale in Italia risulta ampiamente
rallentata, sia se la confrontiamo con altri Paesi europei sia se
operiamo un confronto con quanto è avvenuto nei decenni che abbiamo alle
spalle. E così, non è più vero che l’Università riesce a costituire per
tutti gli iscritti un percorso di elevazione sociale; molti studenti,
d’altra parte, si iscrivono all’università e non riescono a concludere
con successo il loro percorso formativo. L’Università, a sua volta, con
risorse anno dopo anno decrescenti, non si trova in condizioni tali da
potersi fare carico dei limiti formativi che spesso gli studenti
iscritti si riportano dagli studi inferiori.
La valutazione dei risultati dei corsi di azzeramento, resa disponibile
negli atenei calabresi da una lungimirante politica di sostegno alla
istruzione pubblica del Vice presidente della Giunta regionale Domenico
Cersosimo, costituirà una buona occasione per riflettere sui rapporti
fra scuola e università e sulle missioni reciproche di queste due
centrali agenzie formative. Un dato è certo e lo può riferire ogni
docente che abbia avuto esperienza didattica in aule composte da 50
studenti e in aule composte da 300 studenti (in passato anche di più).
L’esperienza di chi parla consente di poter riferire un alto grado di
successo negli esami (quasi al 100% nelle aule composte da 50 studenti,
nel mentre il tasso di successo decresce fino al 50% e anche meno nelle
aule composte da 300 studenti). La conclusione appare ovvia ed è
nettamente politica, prima ancora che istituzionale. Il successo del
processo di formazione pubblica è funzione di un rapporto didattico
adeguato fra docente e studente.
Così, se il Paese vuole assicurare ai suoi giovani (diplomati e
laureati) occasioni di lavoro (che in gran parte e sempre più
costituiranno l’opera di una autocreazione di lavoro) e con esso dignità
di piena cittadinanza non esistono altre vie da percorrere che quelle di
investire in modo strategico sulla scuola e sull’università. Riducendo
il rapporto docente/studenti ad un rapporto di 1 docente per 50
studenti, e non di più (questo rapporto nelle aule scientifico
tecnologiche deve diventare di 1 docente a 15-20 studenti). Formare in
aula studenti pienamente consapevoli, d’altra parte, costituirà un
volano pressoché automatico per lo stesso sviluppo della ricerca
(pubblica e privata). In ogni caso, gli studenti che avranno meritato
rispetto all’impegno dimostrato nel processo formativo, posti in
condizione di rendere al massimo nelle loro performances formative,
avranno maggiori possibilità di entrare nei campi della ricerca e più in
generale avranno un know how adeguato per il loro ingresso in un mercato
del lavoro sempre più selettivo. Questa scelta costituisce, così, una
via di uscita importante per il loro futuro e al contempo una
opportunità che il Paese non può disperdere. La fuga dei cervelli cioè
non si risolve con le giaculatorie pronunciate a “Porta a porta” ma con
l’assegnazione di precise risorse e con la valorizzazione dei docenti
(dalle scuole materne fino all’università). Fare una buona scuola e una
buona università contro i docenti costituisce un evidente paradosso!
Se facciamo un po’ di conti sapremmo dunque cosa attenderci da un
Ministro della scuola e dell’università. Più docenti, più aule, più
laboratori: sempre che siamo convinti della loro utilità strategica per
lo sviluppo del Paese e per lo sviluppo della crescita sociale. Non
ultimo per orientare in modo responsabile il nostro diritto di
partecipazione politica!
Naturalmente c’è un problema di governance. Se questo giornale continua
a ospitarmi dirò nei prossimi giorni in che modo l’università può darsi
forme di controllo sociale, assolutamente necessarie a dimostrare
l’adeguatezza e la responsabilità dell’esercizio della sua autonomia nei
confronti degli studenti, delle loro famiglie, delle imprese, in una
parola del Paese!

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