lunedì 8 febbraio 2010

Report incontro con CoCoP e Regione

In questo post viene reso pubblico il report dell'incontro avuto con CoCoP e Regione di mercoledì 3 febbraio scritto da Pasquale Pace, presente all'incontro. In particolare Pasquale ha riportato le risposte del Prof. Cersosimo alle nostre obiezioni relativamente a come gli assegni di ricerca regionali saranno gestiti.
Incontreremo di nuovo il prof. Cersosimo nella settimana tra il 15 e il 19 e stiamo cercando di far partecipare all'incontro anche il Rettore e il Presidente del CoCoP, in modo da poter avere il quadro completo riguardo alle nostre possibilità future.

Report incontro Regione-CoCoP

Anche se non ufficialmente invitati siamo stati accolti in seno al COCOP ed abbiamo esposto i nostri punti circa gli assegni di ricerca finanziabili dalla regione ed ecco le risposte punto per punto:
  1. Limite d'età nella presentazione delle domande fissato a 38 anni
    • Risposta: L'assessore e il suo staff sono irremovibili perché asseriscono che oltre i 38 anni non si hanno più le condizioni per giustificare l'investimento che la regione attraverso la comunità europea vuole fare per i giovani calabresi. Anche se noi abbiamo insistito facendo notare la condizione di precariato di molti ricercatori precari non proprio di primo pelo le risposte ottenute hanno evidenziato come la regione non voglia categoricamente avere dei ruoli di supplenza nei confronti delle strutture che hanno generato ed alimentato tale stato di precariato.
  2. Periodo di permanenza all'estero di almeno 1 anno
    • Risposta: Anche in questo caso il parere circa la possibilità di rimuovere tale vincolo per persone che hanno dei forti legami famigliari sul territorio locale è stato negativo in quanto ci è stato detto che la ricerca senza lo scambio culturale estero ha meno valore dato che l'internazionalizzazione non può fare altro che dare degli ottimi stimoli alla ricerca e questo è stato confermato anche dai risultati sui tirocini di ricerca promossi lo scorso anno dalla regione Calabria.
  3. Forma contrattuale assegno di ricerca
    • A tal proposito abbiamo esposto i vincoli imposti dal ministero circa il numero di anni di assegni di ricerca che possono essere collezionati (ricordo brevemente che tale numero è pari ad 8 se non si è avuta la borsa ministeriale nel periodo del dottorato e scende a 4 +3 considerando i 3 anni di borsa di dottorato come se fossero assegni visto che sono stati comunque erogati dallo stesso ministero)
      Risposta: Su questo punto l'assessore ci è sembrato più probabilista anche se la scelta della regione di utilizzare la forma dell'assegno di ricerca è stata motivata da molti che hanno sottolineato come l’assegno di ricerca fosse più importante dal punto di vista curriculare rispetto ad un contratto di collaborazione.
Nella discussione informale che abbiamo avuto con l’assessore Cersosimo è emerso che i casi da noi presentati sono delle anomale eccezioni al percorso classico di chi si avvicina al mondo della ricerca e quindi è nata l'esigenza anche per noi di avviare una procedura strutturata di censimento interno per valutare effettivamente l'entità di queste anomalie.

Enrico Natalizio, Pasquale Pace

lunedì 28 dicembre 2009

Come prendere il potere con la scuola

"Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico".

Piero Calamandrei

Discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l’11 febbraio 1950

sabato 5 dicembre 2009

Fuggire o resistere

Replica dei precari universitari alla lettera aperta di Pier Luigi Celli, direttore generale della Luiss, indirizzata al figlio


Fuggire o resistere. Quando l’alternativa si presenta anche ai figli delle attuali classi dirigenti, vuol dire che la misura è smisurata, che il vaso ha tracimato, che la precarietà è visibile persino dalla cima della torre d’avorio.
Ma l’alternativa non si pone ai ventenni di quel tipo, che hanno l’exit strategy dell’estero e partono da una solida rete di relazioni intessute anche nelle università private. Il vicolo cieco è invece davanti alle migliaia di precari, nell’università come nel lavoro, trentenni e quarantenni, che hanno già iniziato a costruire il proprio progetto di vita in questa Italia decadente, priva di qualsiasi strategia di superamento della crisi e idea di futuro.
Per questi figli di un dio minore le opzioni non sono molte. Prendiamo una tipica lavoratrice della conoscenza: 36 anni, ricercatrice precaria, due monografie e 15 articoli sul curriculum, un figlio e un compagno. Si barcamena tra una docenza a contratto e l’altra: quando gli va bene il suo “protettore” gli trova un assegno di ricerca biennale (somma sicurezza), quando gli va male i suoi genitori aumentano l’integrazione del suo reddito mensile da 300 a 500 euro. Nel suo dipartimento è sicuramente la “giovane” più promettente, in più è così gentile da sobbarcarsi tutti quei lavori che gli altri non vogliono fare (redazione della rivista di dipartimento, compilazione dei bandi, sostituzioni a lezione e ricevimento studenti, ecc.). Il “suo” concorso non è stato ancora bandito, ma a detta di tutti arriverà presto, è solo questione di sfortuna se l’ordinario appena andato in pensione ha indicato come sua ultima volontà l’inserimento in ruolo del proprio pupillo. Quella volta in realtà la nostra ricercatrice aveva anche commesso uno sgarbo (veniale): si era presentata, costringendo la commissione a voli pindarici per la (s)valutazione dei suoi contributi.
Le sue scelte, come dicevamo, non sono molte. Berkeley? Columbia? MIT? Potrebbe provare, certo, anche con qualche possibilità. Ma poi Giulio chi lo sente con il bimbo e tutto il resto? Potrebbe cambiare lavoro, in fondo ha il più alto grado d’istruzione possibile. In realtà dovrebbe tagliare pezzi del suo curriculum per non sembrare over-qualified, e buttare 10 anni di precariato universitario per un lavoretto a 800 euro. Potrebbe infine tenere duro, raccontandosi ogni giorno la favola della temporaneità della sua condizione.
Questa eroina dei nostri tempi magri, questa figura produttiva ma nascosta, quest’anima fedele non certo al suo valvassore ma al suo lavoro e al suo progetto di vita, è questa la figura nella quale ci riconosciamo. Il lamento del padre del giovane di belle speranze, frustrate da un sistema di raccomandazioni e clientele che egli stesso e la sua generazione (politica e accademica) hanno contribuito a determinare e contribuiscono a mantenere, cortesemente, lo respingiamo al mittente. Non ne facciamo una questione privata, ma uno specchio per la dimensione pubblica. Il merito astratto, scientificamente calcolato, che si sostanzia nella capacità di immagazzinare dati (il povero figlio, a detta del padre, ha studiato 12 ore al giorno negli ultimi 5 anni), nella bulimia da nozioni, nella capacità di rispondere a comando a una domanda, non è solo un “merito di pulcinella”, è anche un merito inutile al paese, alla società, allo stesso mercato del lavoro.
La nostra figura di riferimento rimane la ricercatrice di cui sopra, che rappresenta la parte più innovativa e produttiva del paese, e sulle cui spalle si regge gran parte dell’università italiana e non solo. È lei la nostra moderna Cipputi. E come il buon vecchio Cipputi ha un’ultima scelta: quella di lottare e rivendicare continuità di reddito e diritti.

Rete ricercatori precari Bologna
Coordinamento precari della Ricerca Catania
Precari Invisibili della Ricerca - UniCal
Coordinamento nazionale ricercatori precari FLC-CGIL

Lettera di Celli al figlio apparsa su Repubblica del 30 Novembre

venerdì 4 dicembre 2009

Assemblea di Ateneo - 2 dicembre 2009

Le politiche del Governo nazionale di drastico disinvestimento nel sistema pubblico della formazione e della ricerca, di trasformazione degli assetti di governo delle Università e di modificazione dello stato giuridico della docenza costituiscono un grave attacco al diritto alla conoscenza, principio fondamentale finalizzato alla formazione della persona, al superamento delle disuguaglianze sociali ed al progresso della partecipazione alla vita della società democratica. La riduzione dell’investimento nell’Università, per la quale la spesa dello Stato è ormai prossima allo zero, dato che nel 2010 l’intera spesa per i diversi settori del sistema della conoscenza scenderà sotto l’uno per cento del PIL, comporterà la riduzione dell’offerta formativa e il ridimensionamento dell’attività di ricerca con gravi conseguenze tra le quali, la dispersione di un grande patrimonio di sapere e competenze scientifiche, innanzitutto quello detenuto dai giovani ricercatori non di ruolo, il blocco del necessario ricambio generazionale, l’aumento delle tasse per le famiglie degli studenti, che comporterà il ritorno ad una selezione sulla base della condizione sociale che ritenevamo ormai superata, l’estensione della precarizzazione del lavoro nell’ambito del settore della ricerca. Inoltre le gravi limitazioni all’autogoverno della comunità accademica, attuato attraverso lo svuotamento delle competenze degli organi collegiali e l’introduzione di elementi di esternalizzazione e privatizzazione del governo dell’Università finirà inevitabilmente per snaturare la funzione pubblica dell’Università stessa, limitando la libertà di ricerca e insegnamento che le è propria e asservendola a logiche privatistiche estranee alla sua funzione, costituzionalmente assegnatale.
Su questa base l’Assemblea d’Ateneo richiede al Governo:
il ritiro del DDL Gelmini su governo degli Atenei, stato giuridico della docenza e reclutamento.
Il ritiro della legge 133/2008, almeno per la parte riguardante il sistema della formazione, e della legge 1/2009 e l’avvio di una politica di forti investimenti nel sistema pubblico della formazione secondo le prescrizioni del trattato di Lisbona.
L’avvio di una politica finalizzata a garantire il diritto allo studio, attraverso l’adeguato finanziamento della residenzialità e dei servizi per gli studenti.
Il mantenimento della terza fascia dei ricercatori a tempo indeterminato e il riconoscimento della loro funzione docente.
Il varo di un piano straordinario di reclutamento di ricercatori di ruolo per fare fronte alle esigenze della didattica e della ricerca.
In conseguenza di ciò: l’assemblea impegna tutte le componenti d’Ateneo a promuovere le istanze proposte in ogni sede politica e istituzionale; l’assemblea aderisce allo sciopero proclamato dai lavoratori della conoscenza per Venerdi 11 Dicembre, sostiene la manifestazione nazionale prevista per lo stesso giorno a Roma e si riserva di intensificare le azioni di lotta, qualora il governo non intenda recedere dalla propria politica di tagli e privatizzazioni.

Cosenza, 2 Dicembre 2009.

Sottoscritto da:
Precari Invisibili della Ricerca UniCal,
Rappresentanti dei Ricercatori UniCal in CdA: Prof.ssa Morrone e Prof. Terracina,
Rappresentante dei Prof. Associati UniCal in CdA: Prof. Raffaele Agostino.

Lettera dei ricercatori precari ai laureandi e alle loro famiglie

Cari laureandi, e cari genitori, parenti e amici dei laureandi,

riteniamo opportuno informarvi in questa sede relativamente ai provvedimenti di legge presentati in materia di Università e diritto allo studio. Per decenni una parte della classe dirigente delle Università Italiane, con la connivenza degli schieramenti politici di qualsiasi colore, ha ritenuto possibile utilizzare i fondi di finanziamento pubblici delle Università per fini personalistici e familistici, producendo sprechi, cattiva gestione e deterioramento dell’insegnamento e della ricerca pubblica. L’attuale governo, anziché cercare le responsabilità individuali e punire i comportamenti poco etici di sperpero del denaro pubblico, fa pagare il prezzo di anni di autonomia universitaria gestita male alle fasce di lavoratori universitari meno protetti e più ricattabili e soprattutto agli studenti, alle loro famiglie e al territorio in cui vivono. Infatti, al contrario di quello che dice il ministro Gelmini occupando i media senza mai contraddittorio, il suo nuovo Disegno di Legge, appena approdato in Senato, se divenisse legge, fortificherebbe i poteri baronali presenti nelle Università e avrebbe l’effetto di:
- allontanare immediatamente dall’Italia un’intera generazione di ricercatori in cerca del coronamento di anni di lavoro precario e produrre ulteriore precariato e ricattabilità per le future generazioni di ricercatori.
- richiedere alle famiglie ulteriori gravosi sforzi economici e logistici per salvaguardare per i loro figli la speranza di un futuro migliore attraverso un’istruzione universitaria che risulterebbe per forza di cose dequalificata e agli studenti di indebitarsi prima ancora di avere un lavoro, e sempre che “meritevoli”!
- esporre le Università pubbliche all’ingresso nella gestione delle stesse della politica e della mafia. Infatti, non si capisce quale privato cittadino avrebbe la volontà e i mezzi per sovvenzionare, ad esempio, l’Università della Calabria, se non la Ndrangheta S.p.A.
Vi chiediamo dunque di aderire e partecipare alla manifestazione dei lavoratori della conoscenza dell’11 Dicembre a Roma e di diffondere questo messaggio di protesta e di rifiuto del Disegno di Legge al vaglio delle Camere prima che esso diventi legge e riduca ulteriormente le possibilità di futuro per i giovani calabresi e per il loro territorio.

mercoledì 25 novembre 2009

Documento dell'Assemblea Nazionale dei Ricercatori Precari

Oggi 20 Novembre una grande assemblea di precari e di studenti, provenienti da tutta Italia, si è riunita alla Sapienza per rilanciare – a partire dalle molteplici iniziative di lotta organizzate in questi mesi nei vari atenei e scuole – un percorso ampio di mobilitazione che rimetta al centro la lotta contro il progetto di dismissione dell'università e che rivendichi un nuovo sistema di garanzie sociali all'altezza delle sfide poste dall'attuale mondo del lavoro. Ad un anno di distanza dall'esplosione dell'Onda, siamo ancora fermi nel nostro rifiuto della crisi economica:
noi la crisi non la paghiamo, vogliamo fin da subito riappropriarci del nostro futuro e della ricchezza sociale che ci viene quotidianamente sottratta.
Per queste ragioni chiediamo, in primo luogo, il ritiro immediato del DDL Gelmini – presentato mediaticamente come disegno “innovativo” di riforma dell’Università – che rappresenta palesemente un progetto di riproposizione e cristallizzazione di tutti gli elementi negativi del sistema universitario, denunciati più volte dal movimento dell’Onda:
- non risolve in nessun modo il problema della precarietà né del ricambio
generazionale – come propagandato dal Governo – aumentando, invece, il fossato tra tutelati e non tutelati, tra chi è dentro e chi è fuori dal sistema di garanzie sociali;
- non interviene sulla governance degli atenei per innovarla, ma per chiudere i già irrisori spazi di democrazia e partecipazione delle differenti componenti accademiche e consolidare e rafforzare il potere delle corporazioni responsabili del fallimento dell'università pubblica negli ultimi 30 anni;
- indebolisce ulteriormente il diritto allo studio, chiedendo agli studenti di indebitarsi “all'americana” attraverso lo strumento del prestito d’onore, mentre la crisi globale – che mostra il fallimento di un sistema fondato sull'indebitamento – richiederebbe una netta inversione di tendenza e di maggiori investimenti per garantire a tutti l’accesso ai livelli più alti dell’istruzione superiore;
- completa il processo di de-strutturazione e riduzione dell’Università pubblica
prefigurando, quindi, un'università complessivamente più piccola, che non risponde alla domanda di maggiore conoscenza e competenze che il nostro paese dovrebbe considerare centrale per le proprie politiche di sviluppo; con l'entrata dei privati negli organi di governo si regalano gli atenei ai poteri locali, senza che questi diano nessun contributo alla crescita dell'università;
- restituisce alle lobby accademiche il controllo sui concorsi, senza incidere sulle pratiche clientelari e mettendo in competizione i precari e gli attuali ricercatori; servirebbe, invece, un piano straordinario di reclutamento, con un numero consistente di concorsi che diano opportunità reali a chi garantisce il funzionamento quotidiano della didattica e della ricerca nei nostri atenei;
- nasconde il progetto di smantellamento selettivo dell'università dietro il paravento della valutazione dei meriti individuali; tuttavia, non si può far finta di non sapere che precarietà e ricattabilità rendono impossibile una valutazione trasparente delle capacità delle persone; la valorizzazione del merito non può prescindere da un serio investimento (anche e soprattutto economico) sulla qualità della didattica e della ricerca e sulla garanzia di autonomia sociale di chi studia, di chi insegna e di chi fa ricerca nelle università. In assenza di tali garanzie, nel contesto Italiano, l'insistenza da parte governativa sul merito si risolve in uno strumento di ulteriore ricatto per i precari. La retorica dell'efficienza e della meritocrazia altro non è che uno strumento per dequalificare ulteriormente il sapere, per stratificare e declassare la forza lavoro.
Specularmente, il taglio dei finanziamenti per la scuola contenuto nella legge 133 di 8 miliardi di euro e la legge 169 con la cancellazione delle compresenze e del modulo determinano un netto peggioramento della qualità della didattica e producono migliaia di licenziamenti. A questo si aggiunge il progetto di legge Aprea che, se approvato, porterebbe l'ingresso dei privati nelle scuole e sarebbe causa di una assurda gerarchizzazione della classe docente con la repressione della libertà di insegnamento e dell'autonomia dei docenti. Allo stesso modo, la volontà di aziendalizzare la scuola uccide l'emancipazione culturale degli studenti. Il protagonismo del movimento dei precari della scuola, dei genitori e degli studenti di questi ultimi mesi si salda naturalmente con la lotta che parte dalle università per costruire una grande risposta unitaria di tutto il mondo della conoscenza contro l'attacco mosso da governo.
In un contesto di forte crisi sociale e produttiva, l’investimento politico ed economico sulla Scuola, sull'Università, le Accademie, i Conservatori e sulla Ricerca come beni comuni dovrebbe essere il principale strumento per il rilancio del paese, fondato sulla qualità della vita delle persone e che sappia andare oltre i limiti del modello fallimentare imposto dall'attuale classe dirigente ed imprenditoriale. L'attacco alla Scuola e all'Università al quale stiamo assistendo è parte di un'aggressione più generale, tanto più anacronistica proprio perché cade nel pieno del fallimento delle politiche di smantellamento dello stato sociale condotte negli ultimi tre decenni.
Non è un caso se l'Onda ha fatto breccia nell'immaginario: ha saputo, infatti, esprimere i bisogni e i desideri di una nuova generazione. La generazione dell'Onda ha mostrato, nel cuore della crisi globale, che in una società della conoscenza l'accesso pubblico all'università e la qualità del sapere, sono degli elementi di nuova e piena cittadinanza. Oggi, alla luce del nuovo progetto di riforma e assunto il definitivo fallimento del modello del 3+2, pensiamo sia ancor più centrale riaprire, in tutti gli atenei, la lotta per l'accesso e per la qualità del sapere, per l'abbattimento delle forme di blocco, di selezione e di segmentazione dei percorsi formativi (numeri chiusi, test d'ingresso, percorsi d'eccellenza), per la rivendicazione di spazi di decisione sulla didattica e sulla ricerca e di autogestione dei percorsi formativi.
Scuola, Università, Accademie, Conservatori e Ricerca sono parte di un modello innovativo di welfare che sappia rispondere alle attuali forme di sfruttamento. La continuità del reddito, l'accesso alla casa e alla mobilità sono bisogni ormai imprescindibili. Solo rispondendo al problema della precarietà di chi studia e lavora nei luoghi della conoscenza con la definizione di un nuovo welfare, si oppone una risposta al governo che non sia corporativa, ma che sappia parlare all'intera società e attraversarla. Per queste ragioni riteniamo decisivo rilanciare nelle
prossime settimane una campagna, in tutte le città, per rivendicare forme di erogazione, diretta ed indiretta, di reddito per gli studenti e i precari, che vada nella direzione del rifiuto delle forme di precarizzazione.
Per questo, da oggi, studenti e lavoratori precari lanciano una vera e propria campagna di mobilitazione che unifichi le lotte portare avanti nelle scuole e nelle università e che, a partire da questa Assemblea nazionale, abbia il passo abbastanza lungo da mettere in discussione il percorso di questo DDL e porre all'ordine del giorno nazionale l'elaborazione di un nuovo sistema di welfare all'altezza delle sfide della società della conoscenza. Si propone di:
- organizzare iniziative di mobilitazione sui territori, in forme molteplici, il 2 dicembre;
- in occasione dell'11 dicembre vogliamo generalizzare lo sciopero e assediare il
Ministero, a partire dalla mobilitazione già lanciata dai coordinamenti e dai precari delle scuole e dai sindacati;
- assediare il Parlamento in concomitanza con il calendario di discussione e votazione del DDL;
- organizzare una grande manifestazione nazionale a Roma a inizio marzo che, partendo dalla difesa e dal rilancio dal mondo della conoscenza, coniughi la necessità di eliminare la precarietà lavorativa ed esistenziale con il contrasto delle migliaia di licenziamenti giustificati pretestuosamente con la crisi rivendicando un nuovo sistema di welfare fondato sulla continuità di reddito per tutti, l'accesso alla mobilità alla casa e ai servizi.

Assemblea nazionale dei precari e degli studenti
Roma, 20/11/2009

mercoledì 18 novembre 2009

Riprendere la parola, rilanciare il movimento

Appello per un'assemblea nazionale a Roma a “La Sapienza” venerdì 20 Novembre.

Il Disegno di legge per la riforma dell'Università, da poco approvato
in Consiglio dei ministri (28.10), ci impone di riprendere la parola.
E' passato un anno, infatti, da quel movimento straordinario che ha
congelato ogni ipotesi di riforma organica dell'università, invadendo
le piazze di tutta Italia. Un movimento, quello dell'Onda, che ha
saputo reinventare il conflitto in un Paese trafitto dalle destre e
privo di opposizione. Un movimento che, partito nelle università, è
dilagato nelle scuole e ha coinvolto anche noi, precari della ricerca,
già protagonisti delle lotte contro il Ddl Moratti nell'autunno del
2005.

La forza dell'Onda ha in buona parte fermato l'iniziativa governativa
(ricordiamo che al seguito dell'approvazione del Dl 137 sulla scuola –
29 ottobre del 2008, la Gelmini aveva promesso un decreto legge anche
per l'università), ma non è riuscito ad ottenere l'annullamento dei
tagli finanziari alla formazione, massicciamente introdotti dalla
Legge 133 (8 miliardi di euro in meno per la scuola, 1.5 miliardi di
euro per l'università). Oggi, nel pieno di un autunno sempre più
carico di disoccupazione e di precarietà, indubbiamente ancora debole
sul piano del conflitto, il governo ha ripreso l'offensiva.

Il Ddl colpisce a morte l'università pubblica, riorganizzandola a
partire dall'insistenza dei tagli. Se la parte relativa alla
governance prefigura università snelle (per numero di facoltà), prive
di democrazia (riduzione e svuotamento delle competenze degli organi
collegiali) e aziendalizzate (apertura ai privati del Consiglio di
amministrazione), la seconda, quella che delega il governo al riordino
del diritto allo studio secondo la retorica del merito, introduce il
prestito d'onore per gli studenti, imponendo la formula del debito
individuale in sostituzione ai diritti comuni.

Ma è la terza parte quella che ci riguarda di più. In primo luogo
viene abolita la terza fascia di docenza, quella dei ricercatori a
tempo indeterminato. Solo contratti a termine per chi fa ricerca; poi,
dopo sei anni e un'abilitazione, tutti a sgomitare per i pochi posti
da professore associato, in concorsi locali e notoriamente
“meritocratici” ma in realtà profondamente opachi , i cui criteri
restano sostanzialmente invariati rispetto a quelli attuali. In
generale, questo DDL cambia tutto per non cambiare nulla. Per un verso
nessuna delle proposte elaborate in questi anni dai precari viene
assunta, e resta la giungla di contratti precari che caratterizzano
l'università attuale (gli assegni di ricerca, le borse di studio, i
contratti di docenza e altro), con la ratificazione dei contratti di
docenza GRATUITI. Per un altro verso si riduce lo spazio per la
ricerca e si consolida la tendenza alla liceizzazione dell'università
pubblica, in cui il compito prevalente delle figure “stabili” sarà la
didattica. La riforma promette solo tagli e non è previsto alcun
incremento di fondi: non si capisce quindi con quali soldi si potranno
assumere i ricercatori a tempo determinato, il cui costo è superiore a
quello degli attuali associati. Il tetto alla spesa per il personale
confermato nel disegno di legge e i tagli pesantissimi della legge 133
che già oggi stanno producendo migliaia di licenziamenti non faranno
che aggravarsi. Le campagne stampa che parlano di abolizione del
precariato sono chiaramente demagogiche: questa riforma il precariato
della ricerca lo moltiplica all'infinito.

È chiaro dunque che se questo DDL venisse approvato dalle Camere si
definirebbe un punto di non ritorno, meglio, la dismissione
dell'università pubblica che abbiamo conosciuto fino ad adesso.
Un'università, intendiamoci bene, che non ci siamo mai sognati di
difendere e che abbiamo con forza e passione criticato, a partire dal
nostro ruolo. Oggi è necessario, però, riprendere la critica dei tagli
e del DDL che ne è diretta espressione. Pretendere di finanziare
questa riforma con i soldi dello scudo fiscale è insensato. Non si può
vincolare l’università italiana alle trovate della finanza creativa
del ministro dell’economia Tremonti. Resta il fatto che in Italia si
spende meno dell’1% del PIL in ricerca, e questa riforma non prevede
alcun incremento.

Per questo riteniamo giunto il momento di riprendere parola, per
confrontare analisi e proposte, ma anche e soprattutto per ridefinire
una piattaforma e un'agenda di lotte condivise. Un'agenda che non si
limiti ad assumere la partecipazione alle scadenze sindacali già in
cantiere, ma che piuttosto faccia delle stesse occasioni per
rilanciare un movimento e una campagna politica molto più ampia e a
lungo termine, che riguardi l'università e la ricerca, ma che si leghi
anche alle lotte degli studenti e della scuola e che cominci a
immaginare e a pretendere un nuovo Welfare.

A partire da queste premesse e convinti che le nostre parole
rispondano ad un'esigenza diffusa, convochiamo per venerdì 20
novembre, alle ore 14 presso la Sapienza un'assemblea nazionale con il
seguente ordine del giorno:

1. Analisi del Ddl
2. Piattaforma delle rivendicazioni
3. Agenda delle mobilitazioni nazionali e territoriali

Con questo appello riteniamo fondamentale coinvolgere nella
partecipazione e nel dibattito gli studenti e i precari della scuola.

Laboratori Precari - Rete dei dottorandi e ricercatori precari delle
Università di Roma http://laboratoriprecari.blogspot.com

Coordinamento Nazionale Precari della Ricerca-Flc Cgil