di Walter Nocito e Silvio Gambino (UniCal) - Calabria Ora (27/XI/2008)
Da un paio di settimane il Ministro Gelmini ha reso pubbliche le Linee guida per la riforma dell'Università facendone una piattaforma di confronto e anche di sfida all’Onda e all’intero sistema delle autonomie universitarie. Nell’ottica del Ministro, le Linee costituiscono la “proposta aperta” per realizzare la strategia del Governo Berlusconi per la Legislatura in corso, presentandosi come strumento funzionale a realizzare gli obiettivi strategici per l’intero Paese, identificati nell’equilibrio di bilancio, nella implementazione dell’Agenda di Lisbona e nel recupero del gap di competitività del sistema Paese (pag. 1, Linee guida).
Rispetto a tale impostazione del Governo, la domanda che pare lecito porsi è: può un sistema universitario essere conformato alle esigenze di equilibrio di bilancio e alla pura competitività del Paese-Azienda. L’interrogativo non è peregrino. La difficoltà di convenire sulla risposta spiega tutti i ‘problemi di comunicazione’ fra Paese reale e Paese legale, fra l’Onda, la Comunità scientifica e i governanti.
La risposta da parte di chi scrive è decisamente nel senso negativo e ciò per più ragioni, la principale delle quali risiede nella considerazione secondo cui la spesa pubblica, per la scuola, per la ricerca e per l’università, costituisce un ‘investimento di lungo termine’, destinato a produrre effetti positivi non necessariamente nell’immediato bensì nel periodo medio-lungo; per tale ragione non può essere valutata con parametri meramente aziendalistici o economicistici. Farlo significherebbe, inevitabilmente, lanciare alle ortiche secoli di quella cultura umanistica, europea e universalistica, che costituisce a tuttora la base di una umanizzazione per lo sviluppo sostenibile delle tecnologie contemporanee e che fa dell’Italia un vero e proprio ‘giacimento culturale’ che il mondo interno ci invidia.
Nella missione storica perseguita dalle autonomie universitarie, a partire dalla universitas medievale fino al modello franco-tedesco (humboldtiano), trova posto tanto la ricerca di base, intesa come ricerca pura, quanto la ricerca applicata, intesa come trasferimento tecnico e tecnologico dei risultati della ricerca scientifica negli ambiti necessari allo sviluppo della competitività socialmente sostenibile dei sistemi economici (creazione di reddito, equa redistribuzione dello stesso, mobilità sociale).
Esattamente a questo livello si colloca la valutazione negativa sulla cultura delle riforme universitarie praticate attraverso le leve del bilancio, le quali (tagli al FFO, blocco del turn over), produrranno inevitabilmente (almeno a partire dal 2010) l’abbandono degli ambiti della ricerca pura a solo ed esclusivo vantaggio di quella applicata, inevitabilmente asfittica e alla lunga improduttiva e insostenibile. Un esempio fra i tanti possibili. Potranno il MIUR e le singole università del Paese finanziare in futuro ricerche proposte dalla comunità scientifica sul diritto attico, sul sanscrito, sulla fisica teorica? Ma, se non potranno più finanziare tali filoni di base, continua ad avere senso citare le statistiche internazionali sul posizionamento comparativo degli atenei del Paese, rispetto ad università americane e tedesche dove tali ‘ricerche pure’ sono doviziosamente sostenute e finanziate alla pari di quelle ‘applicate’? Come si vede, ci si deve sempre interrogare sulla ratio e la strategia di ogni politica di riforma. Le risposte non sono mai scontate!
venerdì 28 novembre 2008
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