Gentili ricercatori, già firmatari della petizione “Per una nuova e condivisa riforma
dell’università”,
con vivo stupore apprendiamo che tra le firme a sostegno della petizione “Per
una nuova e condivisa riforma dell’università”
diffuso
Non senza sorpresa, noi ricercatori precari del Coordinamento Unico d’Ateneo
già firmatari della stessa petizione, abbiamo seguito sulla mailing
listl’appassionato avvicendarsi dei messaggi di correzione, modifica,
integrazione, richiesta di chiarimenti su nomi, cognomi, afferenze e ruoli
vittime di refusi o imprecisioni: quanto scientifico rigore e stringente
metodologia applicati alla difesa dell’Università, quanta meticolosità nel
distinguere tra i firmatari emeriti e quelli ordinari, tra gli ordinari
semplici e i presidi ordinari, tra gli ordinari docenti e gli associati
anch’essi docenti, tra i professori associati e i ricercatori professori
mancati, tra i ricercatori e quell’unico solitario “personale Ata” che ha
firmato, a titolo anche’esso personale s’intende. Quanto accademico zelo
nello scartare uno dopo l’altro - o “epurare” come qualche docente del
Coordinamento Unico d’Ateneo ha avuto l’arguzia e la grazia di sottolineare
– quegli stessi dottorandi, assegnisti, docenti a contratto prescelti,
invece, per sostenere la didattica e la ricerca ogni giorno, tutti i giorni,
in tutte le facoltà ed in tutti i dipartimenti. Che nobile fatica
differenziare quanti oggi vedono sparire le già ridotte opportunità di
lavoro dentro l’Università da quanti, invece, un posto di lavoro a tempo
indeterminato già ce l’hanno – i ricercatori e i docenti - e non lo
rischiano, neanche per merito del Ministro Gelmini. Effettivamente la
differenza c’è.
Davanti alle firme “inutili” di studenti e precari, disorientati accogliamo
il successo delle oltre 500 (su i circa 1600 tra docenti e ricercatori
dell’ateneo) adesioni “accademicamente corrette” di quanti non hanno esitato
a condividere, e sottoscrivere, un’idea di Università intesa, come recita il
testo in forma di lettera aperta al Ministro dell’Università, quale
«organizzazione che esalti quel dibattito di idee che è la ragione stessa
della vita universitaria». Un’idea che – ne siamo certi, noi precari -
appartiene ai ricercatori e docenti diversamente strutturati quanto a quelli
abitualmente accomodati al vertice della piramide accademica. Un’idea che ci
rende pari nelle responsabilità che ci siamo dati collettivamente di fronte
allo scempio dei provvedimenti del Governo ma, alla luce dei fatti, non
nelle opportunità di esercitare altrettanto collettivamente il dissenso.
Neanche quello.
Oggi, all’indomani della cancellazione degli studenti e dei precari
universitari anche dalle petizioni contro il DdL “Gelmini”, oltre che
dall’agenda politica di Ministro, Rettori, Presidi e quanti hanno
responsabilità di governo negli atenei, non possiamo non interrogarci sul
significato delle parole e sul valore dei fatti, gentili colleghi.
Se anche nella mobilitazione ampia e condivisa di tutte le componenti
universitarie in difesa dell’Università pubblica, laica e pluralista –
secondo l’idea di Università che parrebbe trapelare dalle comunicazioni
intercorse - un professore ordinario pesa più di un precario e l’ordine
delle gerarchie prevale sulle priorità dei contenuti, allora urge
riconoscere che la questione del precariato universitario è una questione di
conflitto tra “categorie” prima che tra “generazioni”, che l’autoaffermazione del proprio ruolo di potere (soprattutto se piccolo) per gli accademici è prioritaria rispetto al riconoscimento dello stesso da parte degli altri, che la “maniera accademica” di deformare i rapporti gerarchici in senso paternalistico all’interno dell’Università è talmente strutturale e pervasiva da essere tragicomicamente travasata pure sul fronte della protesta contro il DdL sulla riforma universitaria.
Se anche al riparo dei proclami di democrazia e partecipazione ci sono
docenti e ricercatori che non sembrano saper resistere alla tentazione di
“passare per primi”, gentili colleghi e cari maestri, allora forse il Coordinamento Unico d’Ateneo ha fallito nel suo obbiettivo primario:
costruire quella consapevolezza comune dentro l’ateneo di Catania attraverso cui mettere in luce la realtà: questo Governo disprezza l’Università pubblica tutta, travolgendo i diritti degli studenti, dei ricercatori – strutturati e non - e dei professori in un sol colpo.
Di fronte all’emergenza dell’università pubblica demolita e della scuola
pubblica abbattuta, noi ricercatori precari dell’Università di Catania
sentiamo sempre più forte la necessità di rilanciare un cambio di rotta
decisivo e siamo ancora capaci di immaginare un’Università in cui la
“qualità” non debba fare il paio per forza con la “competizione”, con la
cancellazione delle opportunità e dei diritti dei più fragili; guardiamo ad
un’Università in cui la solidarietà tra tutte le componenti del mondo
universitario sia la principale, e naturale, garanzia per la tutela degli
interessi collettivi e non, viceversa, il canale per amplificare le già
insopportabili disparità.
Noi ricercatori precari restiamo coerenti rispetto all’idea di un’altra
Università possibile che ci ha spinto già due anni fa - molto prima di
ricercatori indisponibili, associati preoccupati e ordinari sensibili – a
prendere una posizione decisa al fianco dei docenti della scuola e degli
studenti per un’Università e una Scuola migliori di quelle attuali e diverse
da quelle deformate dalle politiche dissennate di chi ha l’ambizione di
governarle senza un progetto di sviluppo, come se fossero un condominio.
*Noi ricercatori precari sappiamo già che è meglio essere Ordinario che
Precario, ma “non siamo disponibili” a tollerare che sia la cifra della
protesta dell’Università di Catania.*
Per questo chiediamo che vengano immediatamente reintegrate le firme degli
studenti e dei ricercatori precari in calce alla petizione a testimonianza
di quella comunanza di obbiettivi, prospettive e pratiche che ci siamo dati,
in modo unico, come Coordinamento Unico dell’Ateneo di Catania.
Catania, 20 Novembre 2010
Coordinamento Precari della Ricerca Catania