In tale contesto, l'art. 22 individua negli "assegni di ricerca" una tipologia di rapporto del tutto peculiare, fortemente connotata da una componente "formativa" dell'assegnista (si pensi ai progetti di ricerca presentati dai candidati, selezionati e finanziati da parte del soggetto che eroga l'assegno).Di fatto questa è la motivazione principale per respingere l'estensione dell'indennità a tale tipologia di lavoratori. Nelle mailing list accademiche, Claudia Pratelli rileva i seguenti e condivisibili punti:
1. Emergono rilevanti contraddizioni nella maggioranza di governo dato che questa risposta arriva pochi giorni dopo l'approvazione in Parlamento di un ordine del giorno che, grazie al lavoro di alcune parlamentari, impegna l'esecutivo a valutare l'estensione della DIS-COLL ad assegnisti, dottorandi e borsisti.
2. Il Ministero del Lavoro ha scelto da che parte schierarsi nella dialettica interna alla maggioranza e opta per espellere i precari dell'università dal perimetro dei lavoratori.
3. Tale scelta è sostenuta da argomentazioni scarsamente comprensibili o del tutto infondate.
Non è ben chiaro perché il fatto di basare la propria attività su un progetto di ricerca denoti un'attività formativa. I contratti a progetto che, ricordiamo, rientrano nella fruizione della DIS-COLL, si basano sulla realizzazione di un progetto. Eppure sono considerati contratti di lavoro. La differenza è che nel caso degli assegnisti si tratta di progetti di ricerca. Emerge dunque l'impressione che nella tesi del Ministero la ricerca non abbia la dignità di altri lavori.
Nella risposta all'interpello, inoltre, il Ministero arriva a negare che i dottorandi con borsa versino contributi alla Gestione separata, compiendo un errore marchiano (qui nota INPS sull'iscrizione alla Gestione Separata delle borse di studio per la frequenza dei corsi di dottorato di ricerca), come possono confermare le migliaia di dottorandi che ogni anno versano oltre 1.300 euro di contributi.
4. Il silenzio del MIUR è diventato insostenibile e imbarazzante.
Richiamiamo tutta la comunità accademica all'esigenza imprescindibile di prendere posizione e far sentire la propria voce nei confronti di un atto che non solo offende la dignità del lavoro di migliaia di giovani ricercatrici e ricercatori, ma che delegittima la funzione sociale della ricerca e degli atenei e centri di ricerca che la producono.